Non una recensione

Di donne e di uomini, ma soprattutto di donne (3/4)

Tempo di lettura: circa 7’30”. /// Video: 15’01”. /// Non una recensione #2. ///

Nella prima parte di questo Non una recensione #2 dedicato alle donne vi ho fatto ascoltare un po’ di musica. Settimana scorsa ho affrontato il delicato tema della violenza di genere, partendo da due saggi e da un libro un po’ particolare, formato da precisamente 1’650 frasi. Oggi vi parlo di omosessualità al femminile, attraverso una serie web fra le migliori che potete trovare in giro.



Di donne e di uomini, ma soprattutto di donne


Prima parteSeconda parte ‒ Terza parte ‒ Quarta parte


Se a 28 anni due tuoi film sono stati selezionati al Festival di Cannes, vuol dire che con il linguaggio cinematografico un po’ ci sai fare. E la regista e sceneggiatrice canadese Chloé Robichaud, classe 1988, a Cannes ha già portato il contometraggio Chef de meute, in competizione nel 2012, e il lungometraggio Sarah préfère la course, nel 2013, nella sezione Un certain regard.

L’anno successivo si è poi lanciata in un nuovo progetto, facendo così tesoro delle precedenti esperienze. Dopo un episodio pilota, messo subito online al fine di raccogliere fondi per finanziare il progetto, nel giugno del 2014 è stata infatti pubblicata la serie web Féminin/Féminin (il titolo è un chiaro rimando a Masculin féminin di Jean-Luc Godard), la quale in un anno ha totalizzato più di 1 milione di visualizzazioni, venendo selezionata a diversi festival e vincendo anche vari premi.

Dato che non ne esiste una versione italiana, per godersela appieno bisogna masticare almeno un po’ di francese québécois o di inglese. Ma anche se non siete sicuri che faccia per voi, continuate a leggere!


Contro gli stereotipi

Nella prima come nella seconda parte del Non una recensione di questo mese dedicato alle donne ‒ 8 marzo oblige ‒ ho calcato più volte la mano sulla necessità di mettere in discussione i cliché, in primo luogo per lottare contro le discriminazioni di genere, ma più in generale per migliorare la vita di tutti noi, uomini e donne indistintamente.

Questo terzo articolo, in questo senso, non fa eccezione. I cliché sono al centro della scena di Féminin/Féminin, brillando nel firmamento cinematografico per la loro assenza.

Mi spiego. L’idea per questa webseries, scritta e diretta da Chloé Robichaud, è nata dal suo incontro con Florence Gagnon, presidentessa e fondatrice della piattaforma Lez Spread The Word, la quale si occupa in primo luogo di fornire informazioni e risorse alle donne omosessuali nel Canada francofono, ma che «punta, fra le altre cose, a prendere le distanze dagli stereotipi che vengono veicolati nella società e a dare più modelli positivi1» alle donne che si interrogano riguardo al proprio orientamento sessuale.

Non è quindi un caso che, negli otto episodi che compongono la prima stagione, venga mostrata soprattutto la quotidianità e la normalità di alcune relazioni amorose lesbiche. Ci si distanzia insomma chiaramente dai cliché e dalle caricature, ma anche da un certo sensazionalismo con cui si sono spesso rappresentate le relazioni omosessuali in televisione e al cinema. In Féminin/Féminin si trovano insomma le grandi gioie come i grandi problemi che ci si trova ad affrontare in coppia, nonché i momenti di rimessa in discussione o quelli di scoperta, di sé come dell’altra persona. D’altra parte, come mi hanno più volte detto alcuni amici omosessuali, come a giustificarsi per delle situazioni di tensione all’interno delle rispettive coppie, i problemi di coppia sono problemi di coppia, non sono problemi di eterosessualità; le stesse dinamiche esistono nelle coppie gay come esistono fra un uomo e una donna.

E per marcare ancora di più questo tentativo di rappresentare la realtà così com’è ‒ così come la vivono o la potrebbero vivere le coppie lesbiche di Montréal ‒ Chloé Robichaud ha fatto una scelta decisamente interessante, per quanto riguardo il linguaggio filmico adottato dalla serie.



Fra realtà e finzione

La trama della serie è molto semplice. Chloé Robichaud, la regista e sceneggiatrice della serie, racconta la storia di Chloé Robichaud che registra alcune interviste per un suo documentario fittizio; fra uno spezzone e l’altro delle varie interviste, si intrecciano le storie di alcune delle coppie lesbiche che Chloé Robichaud ha contattato, mostrando momenti di tensione e altri d’amore, situazioni cariche di smarrimento e altre piene di felicità.

Esistono insomma tre livelli diversi di narrazione. C’è prima di tutto la finzione, quella delle relazioni di coppia dei vari personaggi; si tratta di scene scritte,le quali raccontano vicende che si sviluppano su più episodi, sebbene ogni episodio si concentri in particolare su una di queste coppie. Ci sono poi le interviste a questi personaggi di finzione, di cui lo spettatore conosce vari dettagli della vita privata, come le loro preoccupazioni o paure, i loro desideri; sono interviste preparate, ma improvvisate, alla ricerca di una maggiore spontaneità da parte delle attrici. E per finire, ci sono delle reali interviste, a persone comuni o persone conosciute, che esprimono la propria opinione o raccontano la propria esperienza di donna omosessuale in Québec.

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L’aspetto interessante di questo tipo di struttura sta indubbiamente nel fatto che realtà e finzione, sebbene non si confondano mai veramente, sono messe in qualche modo sullo stesso piano, rafforzando il messaggio che la serie si è posta come obiettivo di dare, ovvero mostrare come sia ‒ o potrebbe essere ‒ la normalità delle relazioni di coppia fra due donne a Montréal.

Una scena emblematica, in questo senso, è presente nel terzo episodio, il quale segue in particolare le vicende di Sam e Steph. Il personaggio di Stéphanie, interpretato dalla brava Eve Duranceau, si sta allenando a baseball. La vediamo ripresa frontalmente, mentre parla della situazione fra lei e il personaggio di Sam, rivolgendosi all’amica che le lancia le palline, che però inizialmente non vediamo. Dopo diversi tiri, quando Stéphanie si avvia a concludere il discorso, l’amica viene infine inquadrata: si tratta di Ariane Muffatt, una musicista e cantautrice canadese.

A questo punto, c’è uno stacco temporale. E vediamo Ariane Muffatt a un tavolino, sempre nella medesima struttura sportiva, con Stéphanie che continua ad allenarsi da sola sullo sfondo. Chloé Robichaud, la regista, chiede quindi ad Ariane se è disponibile per un’intervista, per il documentario che sta girando. Segue quindi una vera intervista ad Ariane Muffatt, riguardo alla procreazione assistita e al crescere un figlio in una coppia gay, rispetto alla sua reale esperienza. Chiude la scena la voce fuoricampo di Chloé Robichaud che dice: «Perfetto! Tagliare!», prima di tornare a seguire la vicenda fittizia di Steph nella scena seguente.

La resa è molto convincente e perfettamente adattata al web, con episodi non troppo lunghi e con una dinamicità, data da numerosi stacchi temporali, oltre che dall’inserimento degli spezzoni di intervista, che contrasta felicemente con le numerose scene di silenzi, a volte dettati dall’imbarazzo, altre volte da tensioni all’interno di una coppia. Si ha l’impressione di essere lì con i personaggi, di vivere con loro, di essere partecipi dei loro problemi.

Un ottimo esempio di serie web, insomma. Ma non solo. Un ottimo esempio di serie tout court. O forse, più semplicemente, un gran bell’esempio di cinema.


Niente da invidiare

Pur avendo avuto non poche difficoltà a trovare dei finanziamenti, e pur non potendo contare su un budget consistente, il risultato è infatti sicuramente invidiabile. Chloé Robichaud mostra che le sue due selezioni a Cannes non sono un caso. Sia le immagini sia i dialoghi sono molto curati. L’arco narrativo è pieno di piccoli rimandi, di cose lasciate in sospeso e poi riprese, oltre che di vuoti che lo spettatore è costantemente invitato a riempire. Il cast, per finire, è un azzeccatissimo mix di attrici affermate e giovani talenti (Macha Limonchik ha vinto il Prix Gémeaux per il ruolo di Céline, da lei interpretato). Ma in generale tutto sembra essere messo al posto giusto nel modo giusto.

Per concludere, Féminin/Féminin ci dice soprattutto una cosa. Se un film è fatto bene, ci si può riconoscere ‒ o si possono riconoscere persone che fanno parte o hanno fatto parte della nostra vita ‒ indipendentemente da quanto lontano da noi possa sembrare il tal personaggio o la tale ambientazione. È la forza delle storie raccontate come si deve. Ti fanno entrare nella pelle di un personaggio e fanno entrare quel personaggio dentro di te. E se lo scopo, come in questo caso, è quello di mostrare una realtà che si conosce spesso poco, come quella in cui si trovano a vivere le coppie di persone dello stesso sesso, smontando un cliché dietro l’altro, allora è ancora più importante raccontarle.

Bene! Non vi resta che guardarla. Qui sotto trovate l’episodio 1. Gli altri 7 episodi sono visibili gratuitamente sul sito ufficiale della serie, a questo indirizzo: http://femininfeminin.com/episodes/. (NB: Per qualche motivo, nel primo episodio, a differenza dei rimanenti sette, le comunque poche parti in inglese non sono sottotitolate.)


Al questionario di un concorso per un progetto di scrittura, che mi chiedeva quale fosse la mia serie web preferita, ho risposto così: «Féminin/Féminin, perché Chloé Robichaud ha trovato una formula ottimale per il web (300’000 visualizzazioni in tre settimane lo dimostrano) senza per questo concedere nulla a livello di qualità artistica; in particolare, la serie prende nettamente le distanze dagli stereotipi sull’omosessualità al femminile, mostrando non solo momenti di difficoltà o di rimessa in questione, ma anche di gioia, riuscendo così a dare sostanza e credibilità ai personaggi.»

  1. http://lezspreadtheword.com/a-propos/

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