Il giallo è servitoRacconti

L’andirivieni del Diamante (4/6)

Tempo di lettura: circa 3’30”. /// Un racconto della serie Il giallo è servito. ///

La situazione pare ingarbugliata. C’è un sospettato numero uno, un sospettato numero due e qualcuno che apparentemente sarebbe stato pronto a incatenarsi e a darsi fuoco. L’unica assente è la verità, difficile da scovare anche con un approfondito esame autoptico…


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L’andirivieni del Diamante


Episodio 1Episodio 2Episodio 3 ‒ Episodio 4 ‒ Episodio 5Episodio 6


Insomma, era saltato fuori che Ezechiele Bernasconi, ritrovato con un coltello piantato nello stomaco, oltre ad essere stato denunciato dalle sue due precedenti cameriere e oltre ad aver assunto me in nero e senza alcuna garanzia riguardo al futuro, be’ ‒ come dire? ‒ sbarcava il lunario estorcendo soldi ad amici in difficoltà.

Il padre della dolce famigliola era uno di questi suoi amici. Anche lui cuoco, aveva avuto alcune difficoltà con il locale che aveva aperto tempo prima. Una storia di debiti non dichiarati dal precedente proprietario, ma legati al locale, che in un modo o nell’altro si era ritrovato sulle spalle. E così aveva chiesto aiuto a Ezechiele ‒ all’amico Ezechiele ‒ per far fronte a quella difficoltà temporanea. Ma da temporanea si è trasformata nel più classico dei provvisorio-definitivo, con le entrate del ristorante che permettevano di pagare i fornitori e i salari e di tenere quanto bastava appena per far fronte alle spese della propria dolce famigliola.

E a questo punto, il fatto che proprio lui, con la moglie e i due figli, se ne fosse andato in tutta fretta e senza chiedere il conto, seppur lasciando sul tavolo i soldi per il pranzo e un po’ di mancia, lo rendeva il sospettato numero uno. Qualche gradino più in su di me, perlomeno, dato che il coltello ritrovato nello stomaco di Ezechiele riportava pur sempre solo le mie impronte digitali, oltre a quelle della vittima nonché proprietario del coltello.

In ogni caso, sono migliorata. Da sospettata numero uno, nella vicenda delle due quaglie e della mezza carota, sono passata ad essere la sospettata numero due. E questo anche perché, secondo il rapporto dell’autopsia, non era chiaro se il coltello ritrovato nello stomaco di Ezechiele fosse o meno l’arma del delitto.

In particolare, la ferita sembrava molto più profonda di quella che quel coltello avrebbe potuto causare. O meglio, il coltello sarebbe potuto anche andare così a fondo, ma lo si sarebbe dovuto spingere con molta forza, inserendo anche parte dell’impugnatura nella pancia del cuoco. Impugnatura sulla quale, però, non vi erano tracce di sangue umano.

Secondo l’istituto di medicina legale, l’ipotesi più probabile era che l’arma del delitto fosse stata rimossa e portata via, dato che non era stato trovato nulla né nella cucina né nei dintorni del ristorante. E che l’assassino avesse preso il coltello con le mie impronte solo in un secondo tempo, per infilarlo semplicemente nella ferita, prima o dopo aver trascinato il cadavere nella cella frigorifera.

Per questo, il commissario non sembrava troppo preoccupato per me. È vero, mi aveva consigliato di non entrare in Svizzera per qualche tempo. In via non proprio ufficiale, diciamo. Un consiglio da amico, per evitare di venire arrestata. Ma se lo poteva permettere. Insomma, al telefono il commissario ha detto esplicitamente so che non sei stata tu. Ma le tue impronte sono lì, su quel coltello. Lo sai che hai un talento, per metterti nei guai?

L’unica cosa che potessi fare, era dare un’occhiata ai vari portali internet che parlavano incessantemente del caso. Normanno appariva su tutti i siti, che ne citavano parole sempre più infuocate riguardo a quello sporco criminale che in pochi mesi aveva rovinato il locale che lui aveva costruito in una vita. Alcuni siti riportavano la notizia che, prima dell’omicidio di Ezechiele, Normanno avesse minacciato di incatenarsi a un tavolo e darsi fuoco. Altri che aveva pronto dell’esplosivo, per far saltare in aria tutto.

Conoscendo Normanno, facevo fatica a immaginarmelo. Avrei voluto andare a trovare Martina, per conoscere la verità. Per sapere come stavano realmente le cose e come le stavano vivendo loro due. Ma la mia unica fonte, in quel momento, erano i portali internet ticinesi. E non credo sia necessario dirlo: la verità e la realtà, su quelle pagine, sono sempre coperte da grassi strati di superficialità e sensazionalismo, che impediscono di vedere cosa ci sta sotto.


Continua con il quinto episodio.

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