Il giallo è servitoRacconti

L’andirivieni del Diamante (5/6)

Tempo di lettura: circa 6’00”. /// Un racconto della serie Il giallo è servito. ///

Il commissario, in un momento di disperazione per come stanno procedendo le indagini, chiama di nuovo la cameriera, la quale non è più molto al corrente sui recenti sviluppi…


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L’andirivieni del Diamante


Episodio 1Episodio 2Episodio 3Episodio 4 ‒ Episodio 5 ‒ Episodio 6


Doppiamente costretta a starmene a casa, riguardo a questa parte finale della vicenda non posso giocare di precisione. Da una parte, avevo appena e di nuovo riperso il lavoro, dato che l’Osteria Il Diamante era stata sigillata dalla polizia e che il suo proprietario ‒ il mio capo ‒ era stato ucciso. Dall’altra, il commissario mi aveva caldamente consigliato di non rientrare in Svizzera e starmene tranquilla nella mia casa appena oltre confine, dato che era stato spiccato un mandato d’arresto nei miei confronti. Sì, ancora una volta non avevo niente a che fare con l’omicidio, ma le mie impronte erano state ritrovate sul coltello che l’assassino aveva inserito post mortem nell’addome di Ezechiele Bernasconi.

Quindi ecco, non posso raccontarvi con precisione il proseguio delle indagini. So solo che diversi giorni dopo le prime due telefonate del commissario, ne è arrivata una terza. All’altro capo del filo ‒ per così dire, ovviamente; fra 50 anni dovremo cercare su un dizionario etimologico, cosa volesse dire all’altro capo del filo ‒ ancora una volta lui.

Io ho detto pronto? Michele, mio figlio, mi ha scimmiottata pronto? Il commissario ha detto ehi, avevo voglia di chiamarti. Io ho aggrottato la fronte, non capendo cosa volesse lasciar intendere con quelle parole. Ad ogni modo Giancarlo, mio marito, non ha sentito né visto né detto nulla, come una delle tre scimmiette. Poi, dopo un breve attimo di silenzio e di rimuginazione, ho detto al commissario in che senso, avevi voglia di chiamarmi? Michele ha preso in mano il telecomando della televisione, facendolo diventare un telefono, e ha detto in che senso, in che senso, in che senos? Con un attimo di ritardo rispetto alle parole, ha poi aggrottando a sua volta la fronte, in modo molto buffo e con estrema concentrazione. Il commissario ha detto no niente. È solo che non ti ho più aggiornato sulle indagini. E visto che ti coinvolgono in prima persona…

Il commissario ha lasciato la frase in sospeso. Michele mi ha guardato, come a dire mamma, come faccio a imitarti se non dici più niente? Io ho continuato a non dire niente lo stesso. Il commissario ha atteso ancora un po’. Poi ha detto insomma, non vuoi sapere cosa abbiamo scoperto? Io stavo per dire mi interessa solo sapere se posso di nuovo tornare a condurre una vita normale. Ma poi mi sono detta che sarebbe stato troppo complicato da ripetere, per Michele. Così ho detto sì, aspetta che mi cerco un posto più tranquillo.

Ho coperto la parte bassa del telefono con una mano, mi sono girata verso Michele e gli ho detto di andare a telefonare con papà.

Sono cresciuta con sette fratelli e sorelle. Il luogo più appartato della casa, in qualunque casa io sia stata, è sempre stato il bagno. Tranne al mattino. E ad eccezione di quando lavoravo all’estero, lontano. In quei casi avevo spesso una camera minuscola con il bagno in comune. Quando avevo cominciato a lavorare negli alberghi di lusso era un po’ meglio. Ma in quel caso c’era solo lo stress, anche nei luoghi più appartati.

Insomma, ho preso il telefono e mi sono seduta sulla tazza del cesso ad ascoltare il commissario.

Per farla breve, l’opinione pubblica, fomentata dai portali internet che ogni giorno pubblicavano almeno un articolo a riguardo, si divideva nettamente in due: chi riteneva che quel porco approfittatore di Ezechiele Bernasconi doveva morire e aveva fatto la giusta fine, poco importa chi fosse stata la brava persona che l’aveva ucciso; e chi sosteneva che bisognasse impiccare o mettere al rogo Normanno, l’ex proprietario. Per giorni, avevano intervistato tutti i diretti interessati e poi ‒ una volta esauriti ‒ erano passati a far sentire la voce del popolo, intervistando passanti incontrati per caso per la strada. Avevano intervistato anche me, a un certo punto, riuscendo nell’incredibile impresa di trasformare la mia serie di ehm, cioè, boh, non so in un’accusa al vitriolo contro il mio ex-capo, che avevo ritrovato morto stecchito sul pavimento della cucina.

Il commissario mi ha detto che si erano visti costretti ad approfondire la posizione di Normanno, ma non ne era saltato fuori nulla. Normanno non era certo contento di come si stava parlando del locale che aveva costruito in una vita, ma aveva semplicemente deciso di dedicarsi al 150% all’attività di nonno, insieme alla sua cara Martina, e di non pensarci più.

Le indagini si erano quindi concentrate sulle due precedenti cameriere, quelle che avevano fatto causa a Ezechiele. Anche in quel caso, non avevano trovato di certo amore e stima nei confronti del cuoco accoltellato, ma neanche abbastanza odio per ucciderlo. Oltretutto, entrambe avevano un alibi d’acciaio. La prima stava lavorando nel nuovo e frequentatissimo ristorante in cui aveva subito trovato lavoro. L’altra era a colloquio con l’insegnante del suo indisciplinato figlioletto; essendo una madre single e lavorando la sera in un bar, l’unico momento possibile per un colloquio era la pausa di mezzogiorno.

Restava il sospettato numero uno. Il padre della dolce famigliola, quello a cui Ezechiele aveva prestato dei soldi a tassi da strozzino e che se ne era andato dalla scena del delitto prima che arrivasse la polizia. L’avevano rintracciato e interrogato. Torchiato per ore.

Il commissario ha detto pronto? Sei ancora lì? Io ho detto sì, non preoccuparti. Ti ascolto.

Fino a quel momento aveva parlato praticamente solo lui. Io annuivo solo ogni tanto. Ma poi ho detto è stato lui? Il commissario ha mugugnato qualcosa. Poi ha detto forse. Non lo sappiamo. Sai, per la polizia non ci sono colpevoli. Solo sospettati più sospetti di altri. Io ho detto quindi? È stato lui o no? Il commissario ha detto non hai capito. Io ho detto no che non ho capito. È stato lui o no?

Allora il commissario ha fatto una pausa. Ha fatto un grosso sospiro. Poi ha detto rispetto a quanto abbiamo potuto accertare, quel debito era stato estinto settimane prima dell’omicidio. Non aveva nessun motivo di ucciderlo.

Ma perché se ne è andato alla chetichella, allora? Questo l’ho chiesto io, al commissario. E lui ha risposto la scuola. Dovevano portare i figli a scuola. Ricominciavano le lezioni. A quanto hanno detto, hanno cercato di attirare la tua attenzione, ma non ci sono riusciti. Nel continuo andirivieni fra la cucina, la sala da pranzo, il bar, la sala da pranzo e la cucina, non ti sei accorta che volevano il conto. Possibile, ho detto io. Possibile, ha detto lui. Anzi probabile, dato che ti sei accorta del cadavere solo la seconda volta che l’hai visto, steso per terra in cucina. L’assassino ha persino fatto in tempo a spostarlo, dalla cucina alla cella frigorifera, senza che lo vedessi entrare, uscire o passare da una stanza all’altra.

Il commissario ha detto non è che sei stata tu, per caso? Mi aiuteresti molto a risolvere la situazione. Io ho detto aspetta. Qualcuno ha bussato alla porta del bagno. Io ho detto di nuovo aspetta. Il commissario ha detto sto scherzando. Io ho detto io invece no. Io invece non sto scherzando. Forse l’ho visto, l’assassino, anche se non mi sono accorta di nulla. Il commissario ha detto cosa? La porta ha fatto di nuovo risuonare un pum pum pum. E senza preoccuparmi di coprire il telefono con la mano, ho urlato occupato.


Continua con il sesto e ultimo episodio.

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