Recensioni di letteratura svizzera

Recensione di “Dove nascono le madri” di Virginia Helbling

Tempo di lettura: circa 11’00”. /// Una recensione di letteratura svizzera. ///

Dalla quarta di copertina: «La maternità è un’esperienza forte e destabilizzante anche quando tutto va bene. La protagonista di questo romanzo è madre da poche ore: la sua bambina appena nata dorme nella culla accanto al suo letto in ospedale e lei non sa neppure come prenderla in braccio. Deve imparare tutto. […]»



Recensione di Dove nascono le madri di Virginia Helbling


Ci sono libri che s’introducono meglio da soli. Questo è uno di quei libri, e inizia così: «Autunno secco fatto di foglie sbriciolate e ricci vuoti. Il vento fuori asciuga anche gli occhi. Sono immersa in una luce polverosa e insistente con le mani in grembo, addosso ho la camicia da notte. Mia figlia fino a poche ore fa non c’era e adesso dorme coi pugni serrati come conchiglie, la bocca succhia nel sonno. Ho fatto una testolina e un petto che s’alza e s’abbassa, mani e piedi piccini, ginocchia, e una spina dorsale perfetta, chiodino dopo chiodino. Gli altri bambini non mi sembrano altrettanto stupefacenti. Mastica nel sonno e inghiotte. Sospira. Ha un respiro impercettibile, controllo se è ancora viva. È rotonda, calda, gialla e rosa. Sa di latte cagliato e di sonno. Ha gambe troppo gracili e la pancia gonfia: è un feto fuor d’acqua. Era parte di me nel ventre, intima e complice; ora questo esserino si allontana, lentamente si chiude alla mia comprensione e si fa mistero. Guardandola cerco di riorientare un universo che oggi ha cambiato il suo corso lasciandomi in sospeso a mezz’aria, fra il sogno e la realtà, in quell’aura senza tempo dove nascono le preghiere. E le madri.»

SwissFlagUn inizio per un inizio, con Dove nascono le madri di Virginia Helbling voglio inaugurare una serie di recensioni di letteratura svizzera. E lo so, non c’è bisogno che alziate timidamente il dito o che picchiate il pugno sul tavolo: si può discutere all’infinito sul fatto che esista o meno una letteratura svizzera. E anche se esiste, cos’è esattamente? Come la si può definire? Nel dubbio, non sarebbe meglio parlare di letterature svizzere, al plurale?

Vi propongo un patto. In questa serie di recensioni, io vi parlerò di libri, di storie, di autori e di autrici, di personaggi e di temi. Cercherò di capire cosa, in un dato romanzo, mi è piaciuto o meno, e perché. Condividerò le mie impressioni e i miei opinabili giudizi con voi, per il puro piacere di farlo, invitandovi ad aggiungere qualche commento in fondo, per arricchire la mia recensione di altri punti di vista, altri modi di leggere lo stesso romanzo. Se ho scelto di limitarmi alla letteratura svizzera ‒ qualunque cosa essa sia ‒ è per due semplici motivi, e fra questi non c’è il prendere posizione in questo dibattito a mio avviso interessante quanto sterile. Il primo motivo è che, restringendo il campo, si dà maggior senso e maggior valore a una serie di post quale è questa. Il secondo, forse più importante, è che le autrici e gli autori svizzeri scrivono dei buoni libri e raccontano delle storie che è importante raccontare, le quali troppo spesso fanno però fatica a trovare lettori, soprattutto al di fuori dei confini nazionali. Questo è il mio modo di contribuire alla loro proliferazione. Delle altre letterature del mondo, del resto, continuerò comunque a scrivere nell’altra serie, quella che ho chiamato Non una recensione.

Ma bando alle ciance e torniamo a Virginia Helbling.


Due nascite al prezzo di una

cover-helbling-gce-defi (1)Era un po’ di tempo che ne sentivo parlare, di questo libro. E la possibilità di rivedere un amico poeta che non vedevo da tempo, il quale avrebbe moderato un incontro con l’autrice, mi ha dato la scusa che cercavo per andare a scoprirlo. (Sì, lo so, in realtà non è che sia necessario trovare una scusa per scoprire un libro o per rivedere un amico. Ma è così. Ho co-scritto un’intera pièce di teatro sulla nostra costante necessità di trovare una scusa per fare qualsiasi cosa.)

Dove nascono le madri parla di due nascite: quella di una figlia, Helena, e quella di una madre, la narratrice. E sin dalle prime pagine, si ha la strana impressione di avere fra le mani un diario che diario non è.

Il ritmo, soprattutto all’inizio, è a tutti gli effetti quello di una sorta di giornale di bordo della maternità, con descrizioni di brevi episodi o sensazioni interiori e un filo narrativo spezzettato come un puzzle. Eppure, la spontaneità tipica di questo genere letterario sembra essere quasi totalmente sradicata dal testo, a favore di una grande cura per le parole. Ogni termine appare scelto con estrema attenzione, come a costruire un parallelo fra la madre e l’autrice: la prima, intenta a prendersi cura della bambina che cresce; la seconda, a prendersi cura della storia che racconta.

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Del resto, non è un caso che sia così. L’autrice stessa, in occasione di quella presentazione per cui ho avuto bisogno di trovare una scusa, ha affermato di aver tratto ispirazione in particolare dai diari delle grandi donne della letteratura del passato ‒ Sylvia Plath e Virginia Woolf, le due che mi ricordo che Virginia Helbling ha menzionato. La forma, insomma, ricalca quella del diario, pur non abbracciandola. Lo scorrere del tempo è infatti sì presente, centrale ed esplicitato, ma non viene indicato come tipicamente lo si fa in un diario personale. Mentre a livello di testo, l’intento è più legato alla ricerca letteraria, che non alla memoria o alla testimonianza.

Il soggetto vero e proprio del romanzo, però, più che il rapporto fra la madre e la bambina ‒ o fra la madre e la propria maternità ‒ sono le zone d’ombra della maternità, quelle che solitamente si tacciono perché la nascita di un figlio deve essere per forza di cose qualcosa di bello: pura gioia distillata in un olio essenziale. Una neomamma è sorridente per definizione, perlomeno secondo l’idea che ne abbiamo comunemente, secondo il cliché, secondo «quel manuale con cui tutti, prima o poi, ci troviamo a fare i conti, fatto di tutti i “ciò che dovresti fare”» e i “come dovresti essere”. Nella realtà, non per tutte è un’esperienza positiva, non in ogni momento del proprio essere o diventare madre, perlomeno. Ed è bene che ci sia un libro come questo a ricordarcelo.

Dirò di più: nell’oceano di libri che vengono pubblicati, credo sia quest’ultimo elemento a rendere questo romanzo un libro necessario.


Di ricci e zone d’ombra

Non sono più sicuro di come le abbia chiamate esattamente l’autrice. Io le chiamo zone d’ombra perché sono sì oscure, ma presuppongono comunque la presenza di luce, poco lontano. Meglio comunque dirlo subito, in questo romanzo, di luce, ce n’è davvero poca. È un romanzo bello, ben scritto, ma duro, che non fa sconti.

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In questo senso, credo sia significativa la metafora del riccio di castagna. Presente sin dalla copertina e sin dalla frase d’apertura ‒ «Autunno secco fatto di foglie sbriciolate e ricci vuoti.» ‒ è un’immagine che ritorna più volte, e fino alla fine. Diventare madre significa diventare un riccio vuoto. La castagna, il frutto, che «era parte di me nel ventre, intima e complice» ha lasciato il suo involucro protettivo; «ora questo esserino si allontana», lasciando dietro di sé solo un riccio svuotato, definito non più da ciò che conteneva, ma dalle spine che costituiscono la sua parte esterna: «Sfatta. Odoro di sangue e di sudore.»

Più avanti, l’immagine del riccio di castagna torna a ricordarci del passaggio del tempo. O meglio, ci ricorda il cambiamento che il tempo porta con sé, un cambiamento al quale non possiamo sottrarci nemmeno volendo, nemmeno opponendo una strenua resistenza: «Foglie rimaste a macerare in pozze d’acqua nera si seccano lungo i muri e i marciapiedi. Castagne svuotate dal gelo. L’inverno stiracchia le sue membra per conquistare altri giorni, per durare ancora un po’, ma sotto il velo grigio delle sue sottane la luce ha già mutato spettro e giunge da dietro le nubi più calda a sfiorare il cappotto.»

La luce, quella che per finire arriva. E con lei, il riccio di castagna torna a rappresentare una nuova vita per la madre, dato che qualcuno, finalmente, «mi prende una mano come un riccio la castagna». La madre smette dunque di essere un contenitore svuotato, per diventare lei stessa contenuto, frutto. Non vi dirò come né perché accade, ma la seconda nascita di cui parla il libro, la nascita della madre, in questo caso non avviene contemporaneamente alla nascita della figlia, avviene molto più tardi, dopo un lungo travaglio.


La figura di Erik

Oltre alla narratrice e a Helena c’è un terzo personaggio importante, in Dove nascono le madri. Senza sorprese, si tratta del padre della bambina, Erik, un violinista che fra un concerto e una prova finisce per spesso mancare da casa. Nonostante questo, non sono però riuscito a vederlo come un padre assente. Mi è parso più un fantasma, che una persona assente; più che un’assenza, una presenza inquietante e inopportuna. Qualcuno che concretamente non c’è, ma che viene costantemente a fare visita. A tratti, mi sono persino chiesto se Erik esistesse per davvero o fosse morto, sparito, e quindi solo immaginato. Mi sono chiesto se, piuttosto che un padre, non fosse il simbolo dei dubbi che ci frenano e che vengono a farci visita ogni volta che tentiamo di dare una svolta alla nostra vita, impedendoci di progredire, di accettare nuove sfide.

«Mi chiedo se davvero Erik voglia andarsene da questa casa», si chiede a un certo punto la narratrice, il cui nome appare una sola volta in tutto il romanzo. «Lui ci sta bene, in fondo. Dal momento che torna solo per cenare e dormire, a lui basta che ci siano il tavolo e il letto. A dire la verità Erik vuole trovare un’altra sistemazione per me, perché pensa che mi farebbe piacere, o bene; perché si rende conto che per una famiglia di tre persone occorre più spazio. Quindi un moto razionale lo spinge verso il trasloco, mentre un’altra forza, quella dell’abitudine pigra, lo trattiene. Così, con facilità e una punta di esagerazione, critica tutti gli appartamenti che gli propongo. Non ce n’è uno che secondo lui valga la pena di andare a visitare, che regga il confronto con quello che abbiamo ora. Potrei anche mostrargli l’annuncio della reggia di Versailles affittata a pochi spiccioli: mi direbbe che lo sfarzo stanca, e se ne resterebbe nel suo buco. Immagino che potrebbe vivere nella custodia del violino.»

Non so se fosse l’obiettivo della scrittrice. Di certo, è l’impressione che ho avuto io leggendo questa sua prima opera narrativa. Ad ogni modo, quello di Erik è senz’ombra di dubbio un personaggio enigmatico, di cui viene detto poco e di cui è difficile capire sentimenti e punto di vista. Oltretutto, arriva relativamente tardi, nella storia, come se nel momento della nascita e in quelli immediatamente seguenti non ci fosse spazio per lui, non ci fosse spazio per i dubbi ‒ se davvero Erik rappresenta questi dubbi che frenano le nostre azioni, che non ci fanno decidere ‒ dubbi i quali, però, si fanno inesorabilmente strada nella mente e nelle parole della narratrice.

Quindi, mi è piaciuto?


Il mio pur opinabile giudizio: ★ ★ ★ ☆ ☆


ScalaValoriRecensioni_2A me, in un romanzo, interessa soprattutto la storia che quel romanzo racconta, nonché i personaggi che lo popolano, con i loro problemi, le loro riflessioni, i loro limiti e le loro risorse nascoste, da cui magari riescono a pescare la soluzione che non ti aspetti. In Dove nascono le madri, tutto questo è un po’ in secondo piano, rispetto agli aspetti più letterari.

Si tratta di un romanzo molto ben scritto, curato. Una lettura godibilissima per gli amanti delle parole, delle frasi costruite bene, con attenzione. Il tema, poi, è di quelli di cui è importante parlare. Se però devo trovare un difetto, nel come è scritto, direi che questo sta nella tensione narrativa, che tende a calare mano a mano che si procede verso il finale. E questo, paradossalmente, proprio perché si inseriscono nella scrittura degli elementi più narrativi, che esulano un po’ dalla ricerca letteraria.

Sembra un controsenso, me ne rendo conto, ma la forza evocativa che il romanzo ha nella prima parte, si diluisce sempre più nella seconda. Ciò che mi ha afferrato all’inizio del libro, insomma, ha vieppiù lasciato la presa. E alla fine, mi sentivo più tirato per il bavero dalla trama, che non spinto dal puro piacere della lettura, come era invece il caso all’inizio.

Insomma, io ve lo consiglio senza esitare nel caso in cui vi interessi il tema e nel caso in cui gli estratti che vi ho proposto vi hanno fatto brillare gli occhi, come è stato il caso per me. Ne vale davvero la pena! Se però non è il vostro caso, forse meglio indirizzarvi altrove.

Non sei d’accordo con la mia lettura del romanzo? Scrivi un commento qui sotto: trovo bello arricchire una recensione con altri punti di vista, altri modi di leggere lo stesso libro.


Dove nascono le madri è risultato vincitore del Premio/Studer Ganz 2015, come miglior opera prima.

Questo sabato 23 aprile alle 11.00, alla Libreria Casagrande di Bellinzona, Virginia Helbling e l’amico poeta Fabiano Alborghetti discuteranno di Dove nascono le madri, mentre Margherita Saltamacchia leggerà alcuni estratti dal romanzo. Nella stessa occasione, potrete chiaramente anche acquistare il libro. Altrimenti, lo trovate nella vostra libreria di fiducia come nei negozi online, in versione cartacea o in versione ebook.

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