Non una recensione

Sul Reddito di Base Universale e Incondizionato (3/4)

Tempo di lettura: circa 9’30”. /// Non una recensione #4 (terza parte). ///

Uno degli aspetti più discussi riguardo all’introduzione di un Reddito di Base Universale e Incondizionato in Svizzera è sicuramente stato il suo finanziamento. In 4 passi, vi spiego perché si tratta di un falso problema.



Sul Reddito di Base Universale e Incondizionato


Prima parteSeconda parte ‒ Terza parte ‒ Quarta parte


Sarò breve. O perlomeno cercherò di esserlo, per quanto mi è possibile. Perché l’idea di un Reddito di Base Universale e Incondizionato è semplice ma articolata. E non si può riassumere in un tweet o in uno slogan da campagna pubblicitaria. In compenso, se presa seriamente, è una di quelle idee rare che possono davvero far progredire la società nel suo insieme, non a scapito di qualcuno, bensì a vantaggio di tutti.

All’apparenza, c’è un solo insormontabile ostacolo: come finanziarla?

A prima vista, in effetti, la cifra da mettere insieme per poter dare a ogni cittadino svizzero quanto basta per condurre una vita dignitosa appare mostruosa, una somma di denaro impossibile da reperire. Ma l’apparenza spesso inganna. O perlomeno non ci permette di vedere la realtà delle cose nel suo insieme. In questo caso, in particolare, come ho già scritto nel primo articolo di questa serie di quattro, il finanziamento di un Reddito di Base Universale e Incondizionato è un falso problema.

Scopo di questa terza parte è mostrarvi il perché, in quattro semplici passi.


Un falso problema

Cominciamo col dire che altre idee di questo tipo, in Svizzera, sono state combattute con gli stessi argomenti di presunta infinanziabilità, dall’AVS al congedo maternità, fino al più recente rifiuto del consiglio nazionale ad accordare un congedo paternità di due settimane ai neopadri elvetici. Troppo caro, troppo problematico per le aziende e per la nostra economia, a quanto dice il nostro parlamento.

Ma anche per quest’ultima battaglia, come scrive Isabelle Falconnier su L’Hebdo, mettendosi per gioco e per provocazione nei panni di un uomo, «non è che una questione di tempo. […] Otto svizzeri su dieci, secondo i sondaggi, vogliono che io [in quanto padre] disponga di tempo dopo la nascita dei miei figli.» D’altronde, chi metterebbe più in discussione, oggigiorno, l’AVS ‒ ovvero, l’idea che ogni cittadino svizzero abbia diritto a una pensione che gli garantisca il minimo vitale? Certo, si possono e si devono mettere in discussione i dettagli ‒ l’età alla quale andare in pensione, per esempio ‒ ma chi metterebbe davvero in discussione l’idea stessa di AVS?

In questo senso sono d’accordo con Jonathan Brun, che citavo nel primo articolo della serie: quella di un Reddito di Base Universale e Incondizionato è «un’idea che deve venir messa in pratica nel XXI secolo.» Si può e si deve discutere sul come metterla in pratica ‒ e sul come finanziarla ‒ ma presto o tardi sarà da mettere in pratica. E i motivi li ho spiegati la settimana scorsa.

Il finanziamento di un RBUI è dunque un falso problema prima di tutto perché non si tratta di discutere se l’idea di un Reddito di Base sia o meno finanziabile, ma di come mettere in pratica quest’idea in modo che sia finanziabile. Il suo finanziamento arriva in un secondo tempo. Dobbiamo urgentemente discutere seriamente e approfonditamente dell’idea in sé e della sua messa in pratica, non del suo finanziamento.

Ma tant’è, da che mondo è mondo è umano resistere al cambiamento, in particolare se il cambiamento sembra difficilmente finanzaibile. Evito quindi di evitare il problema, e vi invito a scavare con me un po’ più a fondo nella questione.


Il nostro sistema sociale già oggi non è finanziabile

Partiamo da due semplici costatazioni riguardo a come si è direttamente e indirettamente parlato dell’idea di un Reddito di Base Universale e Incondizionato nei media. Da una parte, i contrari hanno più volte fatto notare come il nostro sistema sociale funzioni egregiamente e come sia quindi pericoloso farne tabula rasa, per fare un salto nel buio in un nuovo sistema che deve ancora provare tutta la sua efficacia. Dall’altra, da qualche anno a questa parte non si fa che ripetere che il finanziamento del nostro sistema sociale già oggi è problematico, in particolare per quanto riguarda l’AVS. Se le cose restano così come sono, a medio termine la cassa AVS non avrà abbastanza entrate per garantire le uscite che deve garantire. Qualcosa si deve cambiare e si sta indubbiamente cercando di cambiarlo.

Ma il problema è molto più ampio di quanto si possa credere. Il nostro sistema sociale in realtà è finanziabile solo perché è pazzescamente inefficace. Sostanzialmente, in Europa, come mostra uno studio dell’ODENORE (Observatoire DEs NOn-REcours aux droits et services) intitolato Access to social benefits: Reducing non-take-up, in numerosi Stati dell’Unione Europea, un gran numero di persone che avrebbe diritto a degli aiuti sociali in realtà concretamente non li riceve. Si tratta di un campo di studi nuovo e non ci sono ancora dati a sufficienza per trarre conclusioni. Inoltre, i motivi per cui questo accade sono diversi e ancora da comprendere a fondo. Fatto sta che, in molti casi, da un terzo fino a due terzi degli aventi diritto non riceve gli aiuti a cui avrebbe diritto.

I media si sono spesso concentrati sulle frodi al nostro sistema sociale. Sono assulutamente d’accordo ‒ come penso la maggior parte di noi ‒ che chi ne approfitta illegalmente deve essere punito, anche pesantemente. Ma bisogna mettere queste frodi nel reale contesto in cui avvengono. Secondo lo studio di cui sopra, nel caso dell’RSA francese, la cifra di soldi “risparmiati” dallo Stato perché le prestazioni dovute non arrivano alle persone che ne avrebbero diritto è 90 volte la cifra che viene invece versata a chi froda il sistema sociale1. Vuol dire che, per quell’aiuto sociale in particolare, per 10’000€ che vengono versate indebitamente a qualcuno ci sono 900’000€ che rimangono allo Stato, pur essendo di diritto di alcune persone bisognose.

A questo bisogna aggiungere il fatto che, per funzionare, il nostro sistema sociale ha bisogno di una gigantesca e costosa macchina amministrativa. Oltre a non essere efficace, per il motivo visto più sopra, non è nemmeno efficiente.

Insomma, per riassumere, il nostro sistema sociale ha forse funzionato egregiamente fino ad ora, ma non è neanche lontanamente efficace né efficiente. Rimetterlo in discussione non solo è necessario, è un dovere morale per far sì che gli aiuti sanciti dalla legge e dalla Costituzione arrivino effettivamente a chi non solo ne ha effettivamente bisogno, ma ne ha anche pieno diritto.

L’idea di un Reddito di Base Incondizionato e Universale vuole prima di tutto mettere in discussione la struttura del nostro attuale sistema di assicurazioni sociali, proponendo fra le altre cose una diversa ridistribuzione della ricchezza. Il finanziamento del RBUI è dunque un falso problema anche perché non si tratta tanto di distribuire nuovi soldi, ma di ridistribuire gli stessi soldi in modo diverso, più efficace e più efficiente.

Detto questo, individuare nuove fonti d’entrata per lo Stato sarebbe ad ogni modo necessario. Ma forse anche giusto e sensato, e vi spiego brevemente il perché nel terzo e penultimo passo che vi invito a fare insieme.


Nuove tasse?

Come scrivevo la settimana scorsa, il mondo del lavoro è profondamente cambiato, negli ultimi anni. Ma non solo. Il modo stesso di produrre beni è profondamente cambiato. Da una parte la globalizzazione ha spostato e concentrato la produzione industriale in alcuni Paesi, anche molto lontani dagli Stati in cui poi quegli stessi oggetti prodotti vengono venduti. E questo, prima di tutto ‒ prima di qualsiasi piano malvagio messo in atto dalle multinazionali ‒ perché è diventato possibile.

Ciò che ora sta diventando possibile è invece l’automazione e la robotizzazione di gran parte dei processi industriali e non solo. Anche nel settore terziario, molti lavori che sono ora esclusivo appannaggio degli esseri umani saranno presi a carico da sistemi informatici. È possibile, quindi succederà. E lungi da me un modo luddista di leggere la situazione: io penso che se non ci sarà più bisogno di esseri umani per raccogliere e smaltire i nostri rifiuti ‒ sperando che diminuiscano invece di aumentare ‒ se i lavori pesanti e ripetitivi verranno in futuro svolti esclusivamente da macchine, credo che sia un bel passo avanti per l’umanità.

Il problema è che la nostra organizzazione sociale è stata pensata e messa in piedi con l’idea che il lavoro lo svolgono gli uomini. Con l’aiuto dei macchinari, certo, ma comunque il lavoro è svolto da esseri umani. Questo fa sì che dallo stipendio di un essere umano vengano detratte innumerevoli piccole e grandi tasse. Mentre quando prendo in considerazione l’acquisto di un robot o di un sistema informatico so che non avrò particolari tasse da mettere in conto riguardo al suo lavoro. Certo, pago l’IVA e ‒ indirettamente ‒ pago le tasse legate allo stipendio delle persone che hanno contribuito in un modo o nell’altro alla progettazione e alla costruzione di quel robot. Allo stesso modo, quando è in funzione, pago delle tasse sull’utilizzo di energia. Ma le tasse che “paga” un robot rispetto a quelle che paga un essere umano, quando lavorano, non sono paragonabili.

L’idea di un Reddito di Base Universale e Incondizionato dice quindi anche questo: il nostro modo di produrre beni è cambiato. Non si tratta di creare nuove tasse, si tratta di adattare il nostro sistema di tassazione alla realtà del XXI secolo.

E nel XXI secolo non si fanno dei guadagni solo producendo dei beni. Anzi, i più grandi guadagni li si fanno senza produrre niente, speculando in ambito finanziario. Anche in questo caso, non è mio intento mettere in dubbio l’eticità della speculazione finanziaria. Credo sia una realtà destinata a restare. E proprio per questo dobbiamo chiederci che ruolo ha nella nostra realtà economica. Il nostro sistema fiscale è stato pensato in un momento storico in cui i guadagni finanziari erano minimi, rispetto ad oggi. Tassare i guadagni finanziari non vuol dire aggiungere nuove tasse, vuol dire ‒ ancora una volta ‒ adattare il nostro sistema fiscale alla realtà del XXI secolo.

Detto questo, c’è un ultimo punto su cui ci tengo a dire la mia.


2’500.- per ogni cittadino?

Si è parlato molto, in questi mesi, di dover trovare 25 miliardi in più all’anno, per finanziare l’introduzione in Svizzera di un RBUI. Questo calcolo è stato fatto sulla base di un’allocazione mensile di 2’500.- per gli adulti e di 650.- per i minorenni. Personalmente, trovo che siano cifre troppo alte. Forse perché personalmente non ho mai avuto grandissime cifre a disposizione. E perché conosco molte persone che si sono arrangiate per anni con meno di 2’500.- al mese. Ma è soprattutto un altro, il motivo che mi fa dire che 2’500.- sono troppi.

Con 2’500.-, in Svizzera, è difficile vivere. Soprattutto se si ha una famiglia a carico. I sindacati, in particolare, dicono che loro si battono da anni per uno stipendio minimo di 4’000.-, non certo di 2’500.-. Ma per una famiglia formata da 2 adulti e 2 bambini, i soldi a disposizione non sarebbero quelli di un salario unico di 2’500.-, bensì la somma di un RBUI per due adulti e due bambini, vale a dire 6’300.-, ben di più che i 4’000.- di un ipotetico salario minimo.

Il problema, quindi, è semmai per la persona singola, a cui la Costituzione garantirebbe comunque un livello di vita dignitoso. Ma per come la vedo io, l’idea di un Reddito di Base Universale e Incondizionato dovrebbe anche stimolare le persone a formare di nuovo dei forti legami sociali. Diversi studi, che non ho il tempo di cercare ora, dimostrano come la nostra felicità sia in gran parte dovuta alle persone con cui viviamo, al fatto che viviamo insieme ad altre persone. Un RBUI dovrebbe secondo me stimolare le persone a vivere insieme, poco importa se organizzati in nuclei familiari classici o se in altri tipi di famiglia o gruppi di amici.

A mio avviso, questo è un aspetto da tenere in grande considerazione, quando si discuterà dell’ammontare preciso di un qualsiasi Reddito di Base Universale e Incondizionato, in qualsiasi Paese.

  1. Cfr. L’envers de la «fraude sociale», ODENORE, 2012. Citato in Le non-recours aux prestations sociales, ce mystère di Jean-Pierre Tabin e Frédérique Leresche, pubblicato in Services publics n°8 del 29 aprile 2016.

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