Tempo di lettura: circa 5’00”. /// Racconto ///
Nel preciso istante in cui si consuma quello che verrà più tardi riconosciuto come un fatto storico, le persone comuni spesso non stanno facendo qualcosa di particolarmente memorabile. L’11 settembre 2001, tanto per fare un esempio, quando il secondo aereo si schiantava contro le Torri Gemelle, io stavo banalmente facendo merenda. Ma vale lo stesso per i fatti mitologici? Di cosa si discuteva, mentre Icaro precipitava nel vuoto?
Dapprima scritto in francese, nell’ambito di un laboratorio all’Istituto Letterario Svizzero di Biel/Bienne, tenuto dalla scrittrice e drammaturga francese Célia Houdart sul tema dell’infimo, la presente traduzione in italiano è stata pubblicata da UNO Magazine di Radio Gwendalyn nel 2011.
Didascalia per la Caduta di Icaro di Pieter Bruegel il Vecchio
«Ti giuro che stava muggendo.»
«Non è possibile.»
«Ti dico di sì.»
«Fammi ascoltare un attimo…?»
Il pastore si zittì, mentre il contadino tese l’orecchio. Il cane mosse nervosamente la testa. Abbaiò. Due volte. Poi chiuse gli occhi e si rimise a dormire.
«Io sento solo il cane abbaiare», disse il contadino. E ricominciò a manovrare l’aratro.
C’era una strana luce nel cielo, quel giorno. Una nebbia finissima che diffondeva i raggi del sole fin dentro gli incavi più nascosti. Ci si poteva chiedere se almeno sotto le pietre si trovava ancora dell’ombra. O se Zeus, per un giorno, avesse deciso di rispedire anche quelle da suo fratello Ade.
«Non era per caso il mio aratro, che hai sentito muggire?», domandò il contadino. «Sai, fa di quei rumori strani, ogni tanto, questo trabiccolo!»
Il pastore ci rifletté un attimo, appoggiandosi al bastone.
«No, di sicuro non era l’aratro. E neanche il cavallo. Veniva da dietro.»
Il contadino fece spallucce. Quel pomeriggio sarebbe andato al mercato a vendere un po’ d’olio d’oliva e qualche verdura. E non si sarebbe nemmeno più ricordato di quella faccenda di muggiti. Se Ermes lo vuole, pensò continuando a frenare l’aratro, i prezzi non saranno crollati un’altra volta. Se Ermes lo vuole.
Il pastore accarezzò il cane. Poi gettò uno sguardo al Mar Egeo e al pescatore, più in basso, addormentatosi con la canna in mano. I versi dei gabbiani e le onde che si schiantavano contro gli scogli formavano un tappeto sonoro dolce e regolare, di cui i tre uomini non percepivano ormai nemmeno più la presenza.
«Non era una di quelle navi che si avvicinano al porto?», chiese il contadino, facendo una pausa prima di girare l’aratro.
«Mai vista una nave comandata da un mucca, io.»
«Ma no, voglio dire, forse una corda, le vele. Forse hai sentito… magari sembrava un muggito.»
«Ti dico che era un muggito. Un muggito, mica qualcosa che ci assomigliava.»
Il contadino si asciugò la fronte, poi riprese il suo lavoro. L’umidità era tale che persino Eolo sembrava esserne stato sfiancato e avesse deciso di andare a soffiare altrove, più in alto, al fresco su qualche montagna.
Il pastore si chinò di nuovo ad accarezzare il cane. Poi si girò un’altra volta verso il mare e salutò il pescatore, più sotto, il quale si era svegliato e aveva cominciato le sue rituali imprecazioni contro Poseidone. Quello, con un po’ di ritardo, ricambiò il saluto: si lamentò dei pesci e della scarsa generosità del mare, quindi si lasciò di nuovo avvolgere dalle potenti braccia di Morfeo.
Il caldo sembrava prendere il sopravvento su tutto. Anche le mosche se ne stavano ferme invece di ronzare. Come se il solo vivere richiedesse già uno sforzo troppo grande per poter trovare anche le forze di dare fastidio agli altri animali. A movimentare le cose, però, ci pensò ciò che improvvisamente cadde sulla testa del pastore.
D’istinto la sua mano andò a cercare fra i capelli. Erano tutti impiastricciati di una sostanza collosa e giallastra. La osservò per un attimo, da vicino.
«E che cazzo!», sbottò. «Ci mancava solo che gli uccelli si mettevano a cagare cera, adesso!»
Il contadino rimase vagamente sbigottito e si fermò. La sua faccia assunse una chiara espressione di sconcerto, prima di lasciarsi trascinare a terra per un metro abbondante dal cavallo che imperterrito aveva continuato a trainare l’aratro.
«Ma si può sapere cos’hai mangiato a colazione, stamattina?», disse rialzandosi da terra, massaggiandosi la guancia sanguinante e striata di rosso vivo.
«Io? Ma niente. Guarda!» E tese la mano sporca di cera, nello stesso istante in cui il cane si mise a guaire per aver ricevuto una seconda pesante goccia di sostanza giallastra fra la coscia e la coda.
Il contadino e il pastore levarono gli occhi al cielo, aspettandosi forse di vedere una fenice o qualche altro uccello strano, ma non videro nulla se non un sole accecante. Il contadino sbuffò fuori fatica e fastidio. Recuperò l’aratro e, scuotendo la testa, si rimise al lavoro. Anche il pastore, sommessamente, dovette accettare il fatto che nel cielo non ci fosse nulla di strano. Solo il cane sembrò restare sul chi vive.
L’animale annusò l’aria. Seguì una traccia sul terreno, finché non si imbatté in una penna bianca. Aveva un odore strano. Un po’ della stessa sostanza giallastra che poco prima aveva impiastricciato i suoi peli ci era finita sopra. E a furia di annusare, questa si attaccò anche al suo naso. Il cane si mise allora a grattarsi furiosamente il muso, quando il pescatore si risvegliò di soprassalto.
Un urlo straziante seguito da un tonfo provenienti dalle onde lo avevano strappato dai propri sogni. E in pieno dormiveglia, credendo di aver finalmente catturato il capodoglio che stava inseguendo nel bel mezzo di una tempesta immaginaria, si mise a tirare a sé l’amo con una frenesia che nessuno gli aveva mai visto nelle braccia. Ma una volta che l’amo fu fra le sue mani, all’altra estremità della lenza non trovò nessun animale. Nemmeno il verme che ci aveva attaccato qualche ora prima.
«E questa volta cos’era?», domandò il pastore. «Non ho mai sentito dei pesci urlare così. O dei tritoni sono venuti a farci visita?»
Nessuno sembrava però più ascoltarlo. Il contadino gridò qualcosa al cavallo, per rimetterlo in marcia. Mentre il pescatore si risolse stancamente a dover trovare un’altra esca. Cercò per terra, poi fra i cespugli che aveva attorno. Prese una penna bianca che i rami di un ulivo avevano appena raccolto dal cielo. La attaccò all’amo, la gettò in pasto alle onde e si riaddormentò.
«Succedono cose strane, oggi», insistette il pastore, noncurante del fatto che nessuno lo stesse più ad ascoltare, «ma ciò che è certo è che la mia pecora ha muggito. E non è normale che una pecora muggisca a quel modo.»