Riflessioni alla seconda persona

Due buoni motivi per tenere un diario

Tempo di lettura: circa 7’00”. /// Una riflessione alla seconda persona. ///

Ho sempre avuto difficoltà a trovare la costanza di tenere un diario. Ma sono contento che, in alcune occasioni, questa costanza ho finito per trovarla. E ne sono contento per due motivi.



Due buoni motivi per tenere un diario


Perché mai si dovrebbe tenere un diario? Te lo sei mai chiesta?

Ci sono dei motivi razionali, secondo te? Oppure tenere un diario è una di quelle cose che si fanno e basta, senza un motivo preciso?

A volte penso che la maggior parte delle cose importanti si fanno e basta, senza mettersi a cercare un perché. Me lo hai insegnato tu, d’altronde: se devi cercare un motivo, per metterti a fare una certa cosa, vuol dire che quella cosa non è poi così importante. O perlomeno, non importante per te.

Per dire, nella tua vita ti è sicuramente capitato di aiutare molte persone. Ma quante di queste persone le hai aiutate perché c’era un motivo per farlo?

Prima si aiuta e poi, forse, dopo aver aiutato, si scopre perché lo si è fatto. Anche questo me lo hai insegnato tu, una volta, poco prima di partire per Haiti. E tu mi avevi risposto che partivi proprio per scoprirlo, quel perché. Ma che forse era più importante partire, che non scoprire la natura esatta della molla che ti avrebbe fatto attraversare l’Atlantico da lì a qualche ora.

Ma anch’io, nel mio piccolo, mi ricordo di un episodio capitato qualche anno fa, che mi ha fatto aprire gli occhi su questa realtà. L’avevo registrato in un diario che tenevo all’epoca. Mentre camminavo per strada, ho visto una signora che trascinava un divano. A Losanna, quando vengono a ritirare gli ingombranti, c’è chi porta vecchi mobili in strada e chi a quei vecchi mobili dà una seconda vita, in casa propria. Ne ho recuperati parecchi anch’io, di mobili, in questo modo; oppure ho aiutato altre persone a recuperarne, come in questo caso.

Insomma, vedo questa signora trascinare un divano lungo un marciapiede in salita. E non so perché mi sono fermato ad aiutarla. Nel vero senso dell’espressione: non so perché. O forse, sarebbe meglio dire “senza un perché”.

L’ho fatto e basta. L’ho fatto, forse, perché non avevo un motivo per non farlo. L’ho aiutata perché non puoi non aiutare una persona che trascina faticosamente un divano sul marciapiede.

Ma la domanda che ti voglio porre oggi è questa: mi ricorderei ancora di aver aiutato quella donna, se non l’avessi scritto in quel diario?


Un problema di costanza

Ho sempre avuto difficoltà a tenere un diario.

Quando ero bambino ‒ frequentavo ancora le scuole elementari ‒ ne ho iniziati due. Uno aveva persino un lucchetto, per far sì che quello fosse davvero un diario segreto. Ma li ho poco più che iniziati.

Sul primo credo di averci scritto qualcosa sulle prime due pagine. E di non averlo più aperto.

Sul secondo credo di essermi spinto appena più in là. Per poi abbandonarlo. E riprenderlo tempo dopo, per scriverci che avevo finalmente capito cos’era l’amore e che mi ero innamorato di una bambina che avevo conosciuto. Poi non l’ho più toccato.

Chiamaramente, se rileggessi adesso quelle frasi, non direi che avevo capito cos’è l’amore. Anzi, sorriderei, rileggendo quelle frasi e pensando a quanto fossi ingenuo.

A questo proposito, mi viene in mente un bellissimo testo di poetry slam di Sarah Kay e Phil Kaye. Si intitola When love arrives e inizia così, con loro due che declamano, all’unisono e con convinzione: «I knew exactly what love looks like», sapevo esattamente com’è fatto l’amore! Poi, sempre all’unisono, puntualizzano: «In seventh grade», in seconda media.

Ma quello che avevo scritto in quel mio secondo diario non posso rileggerlo. Perché quel diario è finito chissà dove in chissà quale trasloco. Probabilmente mi ero detto che non mi serviva, che non aveva senso tenerlo. Ma mi sbagliavo. Un diario serve due volte: quando lo si scrive e quando lo si riscopre. Ed è di queste due cose che voglio parlare.

Ma prima di questo, c’è una difficoltà da superare. Non so tu, ma il mio problema è sempre stato quello di trovare la costanza per continuare a tenere un diario, non tanto la motivazione di cominciare a tenerne uno.

Tu ci sei mai riuscita?

Io, una mia soluzione, che per te non so se vale, ho comunque finito per trovarla.



Compagno di viaggio

Il mio primo vero diario l’ho tenuto durante il mio primo viaggio da solo. Uno zaino, una tenda, un sacco a pelo. E un quaderno vuoto, da riempire.

Non so dirti quale elemento fosse più importante, per far sì che riuscissi a scriverci con continuità e costanza. Da una parte, il fatto di essere solo ti spinge sicuramente a confidarti con la pagina scritta. Non solo, il fatto di essere solo ti dà il tempo di scrivere, il che non è da sottovalutare. Ma poi c’era anche la volontà di registrare in qualche modo quell’esperienza.

Con me avevo anche una macchina fotografica. Una vecchia analogica presa in prestito da un istituto scolastico, che durante i mesi estivi non ne avrebbe avuto bisogno. Il rullino vergine della macchina fotografica e le pagine bianche del quaderno erano la possibilità di registrare quel viaggio.

Se posso essere io, questa volta, a insegnarti qualcosa, posso dirti che la possibilità stessa di registrare un’esperienza modifica il nostro modo di viverla. Ci spinge a drizzare le orecchie, a osservare ciò che ci succede attorno con un occhio attento.

Con una macchina fotografica a portata di mano, si osserva ciò che ci sta attorno, le esperienze che viviamo, sempre nell’ottica di catturarle con l’obiettivo. E anche se gli smartphone hanno un po’ cambiato questa dinamica, credo che sia tutt’ora vero.

Allo stesso modo, tenendo un diario, si osserveranno le persone, i loro comportamenti, le nostre reazioni ed emozioni, sempre nell’ottica di scriverne, di registrare le cose importanti in forma scritta. Non si osserva per forza di cose meglio, ma si osserva con uno sguardo diverso e, soprattutto, con un’attenzione fortemente accresciuta rispetto al normale.

Credo però che il diario abbia un vantaggio, rispetto alla macchina fotografica, anche se ‒ devo ammetterlo ‒ come ben sai, io sono di parte. La parola scritta è perfetta per registrare sensazioni, stati d’animo, emozioni, idee, ispirazioni, ragionamenti; insomma, un sacco di cose astratte che la fotografia non può registrare, può solo aiutare a rievocare.

La prima cosa bella di un diario è quindi questa: ci spinge ad osservare ‒ e ad osservarci ‒ in maniera più attenta, nell’ottica di registrare grandi eventi o piccoli dettagli che ci sembrano significativi.


Un diario a metà

Ma questa è solo la metà del valore di un diario. Sì, perché se non lo si conserva nel tempo, un diario è solo un diario a metà.

Mentre lo teniamo, un diario ci fa vivere l’esperienza in modo diverso, facendoci drizzare le antenne, rendendoci più partecipi alla meraviglia o all’orrore, più pronti a farci cogliere di sorpresa o a farci travolgere dalla meraviglia. Ma è anche vero che, a distanza di anni, un diario fa un’altra cosa molto importante: lascia una traccia, lascia un solco.

Col tempo, nella nostra testa molti ricordi restano, ma attenuati. In un diario restano invece tali e quali a come li avevamo scritti. Aver tenuto un diario permette di rinfrescare quelle memorie o di riportarne alla luce di dimenticate.

In realtà, di questa cosa è difficile rendersene conto mentre lo si scrive. E in fondo non è nemmeno utile pensarci. Ma arriverà un momento in cui si cerca una traccia di una passata esperienza che ci ha segnato. Ci saranno magari delle fotografie, a rievocarla. O ancora meglio delle persone, quelle con cui quell’esperienza la si è vissuta. E forse un diario. Che è diverso dalle fotografie e dalle persone.

Perché in un diario c’è quello che hai pensato, prima di affrontare quella sfida, e che adesso puoi rileggere in modo completamente diverso, sapendo come l’hai affrontata.

Perché in un diario sono descritte le emozioni che hai provato, quella volta che ti sei sentita tradita. E quella volta che ti sei sentita una stupida. E quell’altra che, dopo esserti detta mille volte che non ce l’avresti fatta, invece ce l’hai fatta.

In un vecchio diario ritrovi il buio di quel buco in cui ti eri infilata. E la luce del sorriso della persona che da lì ti ha salvata.

Ed eccoli, quindi, i motivi per scrivere un diario. Come sempre, arrivano dopo. In un diario non c’è scritto chi sei, ma ciò che hai vissuto nel tuo più intimo nelle tue esperienze passate.

Tenere un diario, in certi momenti della vita, può essere una cosa importante. Una di quelle che si fanno e basta, senza chiedersi il perché. Come aiutare una persona che ha bisogno del nostro aiuto: ciò che conta, per farlo, non è un motivo, ma la sola possibilità di farlo. Bisogna solo essere bravi a darsi questa possibilità.

Non credi?

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