Segnalazioni

Il Barcellona a due passi

Foto di Sarah Mancina gentilmente messa a disposizione dalla Curva Est.

Siamo nel pieno della finale dei playoff del campionato svizzero di roller hockey. E il Biasca, per il secondo anno di fila, è una delle due squadre protagoniste di quest’ultimo atto. Nel 2018 ci si è svegliati dal sogno a 4″ dalla fine. Insomma, peggio è accaduto solo ieri sera alla Nazionale svizzera di hockey su ghiaccio, alla quale, per battere il Canada nei quarti di finale del Mondiale 2019, di secondi non ne mancavano 4, bensì 0,4.

Sperando che porti bene al Roller Club Biasca per le ultime e decisive partite della stagione ‒ la serie best of 5 è al momento sull’1-1 ‒ne approfitto allora per riprendere un articolo pubblicato l’anno scorso sulla Rivista 3valli (numero di giugno 2018). L’inizio è ancora una volta la fine, quei maledetti 4″. Ma lo scopo era piuttosto quello di raccontare tutto ciò che di bello c’è prima di quei maledetti 4″: una famiglia e il Barcellona, a soli due passi da casa.


L’esito della finale gli brucia ancora. Ma lo rassicuro subito. Non è di un sogno sfumato a 4” dalla fine che voglio parlare. Da lui mi interessa sapere di una realtà sportiva fra le più belle del Cantone, e delle persone che la rendono tale.

Camillo Boll è uno dei giocatori del Roller Biasca, squadra che in questa stagione si è distinta terminando al primo posto la regular season del campionato svizzero di roller hockey. Cinque partite più tardi si stavano giocando la finale dei playoff contro il Montreux, dominatore delle ultime stagioni e trionfatore anche quest’anno, proprio grazie a quel maledetto gol giunto a meno di una manciata di secondi dall’overtime.

«Se vogliamo paragonarlo a un altro sport», mi spiega Camillo, «potremmo citare il basket, perché ci sono sempre queste spinte in velocità, spalla a spalla», ma i check e i duri contrasti tipici dell’hockey su ghiaccio non sono ammessi. Il risultato è che in primo piano viene messa la tecnica, piuttosto che la fisicità.

Già solo a sentirlo parlare, la sua passione risulta evidente. Eppure per Camillo, che è cresciuto a Biasca e che ora vive in Romandia per gli studi, non è stato proprio un amore a prima vista. «A cinque anni odiavo andare in pista. Per via del rimbombo. La pallina che picchiava contro la sponda mi spaventava.» Ma a furia di giocare a hockey per la strada o in cantina con amici che già facevano parte della squadra, si è lasciato convincere. Lo ha provato e non lo ha più mollato.

Ad aver portato Dario Merenti al Palaroller c’è invece una storia un po’ diversa, che parte geograficamente da più lontano. Quando lo chiamo la prima volta sta per mettere a letto i suoi due bimbi. Abita nel Locarnese, ma il rumore delle palline che sbattono contro le sponde l’ha sentito rimbombare anche lui forte e chiaro e molto presto nelle orecchie. «Faccio questo sport da quando avevo 7 anni e mi sono fermato a 35, quando mi sono reso conto di non riuscire più a giocare contro i ventenni.»

A differenza di Camillo, Dario non è cresciuto nelle Tre Valli. Arriva però da una realtà per certi versi simile a quella di Biasca: un paese di 6’000 abitanti in provincia di Vicenza, con la particolarità di avere una squadra di hockey su pista, come viene più spesso chiamato il roller hockey in Italia. E una volta sbarcato in Ticino, avendo ancora voglia di giocare, Dario è inevitabilmente capitato in Riviera.

A spingerlo a smettere di giocare, oltre all’età, c’è stato il desiderio di dedicare più tempo ai figli. «Però ogni volta che torno al Palaroller sono felicissimo. E sono i bambini stessi che mi chiedono di andare a vedere le partite.»

Più li ascolto e più mi suona evidente. Non è solo una questione di sport e di risultati. «L’ambiente è fantastico», mi dice Camillo, «è la ragione principale per cui ancora oggi mi faccio quattro ore di viaggio ogni volta che si gioca in casa.» Dario parla invece di una grande famiglia. «Ci si conosce tutti quanti, che siano i dirigenti, il presidente, i giocatori, i tifosi, le mamme dei giocatori o gli zii di chi ha giocato vent’anni fa.» La squadra sarà anche al centro di tutto questo, ma il Roller Biasca è molto di più: è la squadra e tutto ciò che le si muove attorno.

«Il pubblico è sempre stato una marcia in più per noi,» continua Camillo. «Dal 2008, da quando è nata la Curva Est, per le altre squadre è sempre stato difficile venire a fare punti da noi, perché un pubblico così caldo e così presente, in Svizzera non ha veramente rivali.» Poi aggiunge: «Fra chi ha giocato a Biasca, anche fra chi non è più con noi, sono sicuro che non ci sia nessuno che sotto sotto non provi ancora affetto per questo strano biancoviola.»

Già, l’attaccamento alla maglia; al viola, in questo caso. Un colore che, fra i tanti presenti sullo stemma di Biasca, proprio non appare. «Il club non è mai stato ricco», mi spiega sempre Camillo. «La scelta è caduta sul viola per non dover fare il doppio treno di maglie per le trasferte. Il viola non ce l’ha nessuno e questo vuol dire che si può sempre giocare in viola.»

A questo punto ho comunque l’impressione che il tipo di ambiente che Camillo e Dario mi descrivono abbia sempre fatto parte di questa bella realtà. A permettere di raggiungere gli straordinari risultati di quest’anno, allora, è stato qualcosa d’altro, l’arrivo di un nuovo giocatore-allenatore dall’Italia, «come la maggior parte degli allenatori che abbiamo avuto», precisa Camillo. In effetti l’hockey su pista, oltre che in Spagna e in Portogallo, è molto praticato anche nella vicina Penisola.

Quando gli chiedo di descrivermi Alberto Orlandi, Camillo mi dice semplicemente: «Una leggenda!» Dario non ha invece avuto il privilegio di essere allenato da lui, avendo appeso i pattini al chiodo già qualche anno fa. In compenso, mi dice, forse lo ha avuto di fronte come avversario.

«Lui ha chiaramente giocato in squadre fortissime», mi spiega, «e qualche volta, quando ancora praticavo l’hockey su pista in Italia, mi è capitato di giocare contro qualcuna di queste squadre.» Ma Dario non è sicuro al 100% di averlo affrontato, non riesce a ricordarsi. Ciò che è sicuro è che Orlandi, in questa stagione, ha messo a segno 44 reti in 16 partite di regular season, risultando il miglior marcatore del campionato davanti a Xavier Torrens Terns, l’autore della famigerata rete a 4” dalla fine della finale di Zuchwil, il quale lo segue a distanza al secondo posto con ben 15 gol in meno.

Eppure mi dico che fama, numeri e statistiche non possono spiegare come un giocatore di 22 anni dica del proprio allenatore che è una leggenda. Ci dev’essere dell’altro. Camillo, a modo suo, me lo conferma. Parla di fiducia, di positività, della grande tranquillità che ha portato in pista con la sua sola presenza. Ma queste sono doti da grande giocatore, non certo da leggenda. E allora, forse senza nemmeno rendersene conto, la chiave per capire come stanno davvero le cose me la dà poco dopo: Orlandi, pur cosciente delle proprie capacità e del credito di cui gode, è quel tipo di persona che con grande umiltà ti prende un attimo da parte, ti fa vedere una nuova mossa da imparare, ti dice “Sì, ce la puoi fare” e ti accompagna fino a che non ce la fai davvero, solo per poterti rinfacciare con un sorriso carico di soddisfazione “Visto che ce l’hai fatta?” e far rotolare di nuovo la pallina verso la prossima sfida.

«Al primo allenamento sui pattini, quando ancora c’era qualcuno che strabuzzava gli occhi, chiedendosi se davanti a noi ci fosse davvero Alberto Orlandi, lui ci ha detto: “Non vi conosco ancora, ma sappiate che io sono venuto qua ad allenare il Barcellona. Non mi interessa chi siete o da dove venite, quello che io darò alla squadra sarà quello che darei al Barcellona per vincere partita dopo partita.” E vincendo partita dopo partita siamo arrivati veramente lontano. Siamo arrivati a 4” dal giocare l’anno prossimo contro il Barcellona in Champions League.»

Il Barcellona, quello del roller, non quello di Messi; quello che è stato 22 volte campione europeo di hockey su pista. In Catalogna, mi spiega Camillo, un singolo club arriva ad avere 6’000 tesserati, lo stesso numero di tesserati che conta l’intero movimento svizzero. Senza contare che lì, nelle squadre d’élite, i giocatori sono tutti professionisti. Un altro pianeta.

Restando con i piedi ben piantati sulla nostra cara Terra, in Ticino abbiamo però e pur sempre il Roller Biasca. E se qualche ragazzino ‒ «ma in realtà anche le bambine», precisa Camillo ‒ vuole provare a cimentarsi con questo sport, deve solo annunciarsi. Ad occuparsi del settore giovanile è sempre lo stesso Alberto Orlandi: la leggenda, colui che è venuto in Ticino ad allenare il Barcellona.

Come a dire che, per chi volesse provare, il Barcellona è comunque davvero a due passi. E più precisamente, dentro al Palaroller di Biasca.


Articolo originariamente pubblicato sul numero di giugno 2018 della Rivista 3valli.

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