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Farsi trasportare altrove

L’abbiamo già detto più e più volte. E non siamo nemmeno i soli a dirlo. La letteratura, i libri portano altrove, sia nello spazio sia nel tempo. Anche quando quello spazio e quel tempo non esistono più. O magari non sono mai esistiti.

Ma il discorso vale molto più in generale con le parole. Poco importa se siano sentite, dette, scritte o magari solo pensate, le parole ci permettono di farci un’idea di cose che non abbiamo mai visto. O di vivere, almeno in parte, un’esperienza fatta da qualcun altro, se quel qualcun altro ha avuto la bontà di raccontarcela.

Certo, niente sostituisce l’esperienza diretta. Ma certe esperienze dirette, in realtà, nemmeno vogliamo farle. Preferiamo che qualcuno ce le racconti, comodamente seduti in poltrona. Mentre altre, molto semplicemente, non possiamo più o ancora farle. Vuoi perché non abbiamo più 20 anni o perché ne abbiamo solo 20, e sogniamo di diventare piloti d’aereo, ma abbiamo ancora una lunga strada davanti. O vuoi perché la realtà di cui si racconta non esiste più, perché sono passati decenni o secoli e il mondo, nel frattempo, è cambiato.

C’è poi chi ci racconta il mondo di oggi. Magari non ci porta nemmeno altrove. Magari si limita a mostrarci il mondo come lo vede lui. Ma se è vero, come diceva Proust, che il vero viaggio di scoperta è avere nuovi occhi, non vedere nuovi posti, in un certo senso è anche questo un modo per non restare qui, ma essere altrove: nella testa di un altro.

Ascolta il podcast di questa puntata su radiogwen.ch!

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