Il giallo è servitoRacconti

L’andirivieni del Diamante (3/6)

Tempo di lettura: circa 4’00”. /// Un racconto della serie Il giallo è servito. ///

La cameriera sta passando un’agitata domenica di pioggia, chiusa in casa con la famiglia, quando riceve due strane telefonate da un numero che non ricordava nemmeno di avere in memoria…


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L’andirivieni del Diamante


Episodio 1Episodio 2 ‒ Episodio 3 ‒ Episodio 4Episodio 5Episodio 6


Era una domenica piovosa, quando ho ricevuto la prima delle due telefonate. Tutta la famiglia era chiusa in casa.

Michele, il mio figlio più piccolo, ha detto mamma vieni a vedere. Giorgio, quello più grande, 7 anni, ha detto mamma non ho più voglia. Giancarlo, mio marito, non ha detto niente; ha continuato a leggere il giornale di giovedì, che non aveva ancora trovato il tempo di sfogliare. La caffettiera ha fischiato ehi tu, il caffè è pronto. E per finire, il telefono ha detto drin.

In realtà il telefono non ha esattamente detto drin. Ma non sto qui a descrivervi quello che fa la suoneria del mio cellulare, quando ricevo una chiamata da un numero conosciuto. Insomma, ci siamo capiti. E allora io ho risposto pronto commissario, perché nel corso dell’indagine sull’omicidio di Dimitriy Chagaev avevo salvato il suo numero in memoria. Ed era proprio quel numero, che era apparso sullo schermo. Ma se aveste guardato quello stesso schermo dall’angolazione giusta, avreste visto la mia faccia stupita e turbata riflessa nel vetro.

Se lo volete sapere, essere una testimone chiave in un caso di omicidio non è molto più divertente che essere la sospettata numero uno. Ma se proprio devo scegliere, non ho dubbi a riguardo. Così ho preso in mano il telefono e ho toccato l’icona verde.

Lui ha detto sì pronto. Poi è stato zitto. Ha detto aspetta un momento. E per finire ha detto scusa ti richiamo. E ha appeso.

Mi sono fermata a guardare la pioggia fuori dalla finestra. Nell’attesa che il commissario richiamasse, mi sono messa a pensare che, qualsiasi cosa volesse da me, non avrei potuto aiutarlo molto. Ho riflettuto a quello che avevo visto e sentito nel mio continuo andirivieni fra la sala da pranzo e la cucina del Diamante, nella cui cella frigorifera era stato portato il cadavere di Ezechiele Bernasconi. Forse era morto lì, ma era stato accoltellato una prima volta in cucina. Qualcuno l’aveva poi trascinato, lasciando dietro di sé e di lui una striscia di sangue sulle piastrelle bianche del pavimento. Ho anche cercato di ricordarmi le facce della dolce famigliola, che se ne era andata prima dell’arrivo della polizia senza chiedere il conto, ma lasciando sul tavolo la somma dovuta per pagare ciò che avevano consumato. E 2.30 di mancia.

Di persone che potevano avere un motivo di prendersela con lui, di minacciarlo con un coltello, magari, ce n’erano diverse, per quel che ne sapevo. Ma questo l’avevo già raccontato al commissario. Per quanto mi sforzassi, non mi veniva in mente niente che non gli avessi già detto.

Mentre ero assorta in questi miei pensieri, la caffettiera si è messa a borbottare. Forse borbottava già da un po’. C’era odore di bruciato. L’ho tolta da fuoco, mi sono scottata, ho buttato via il caffè e ho preparato un’altra caffettiera. Appena il tempo di rimetterla sulla fiamma del fornello a gas, ché il telefono ha fatto di nuovo drin.

Il commissario ha detto pronto ti devo dire una cosa. Ma poi ha precisato due cose. Ti devo dire due cose. Io ho detto va bene. Lui mi ha chiesto devi venire in Svizzera, nei prossimi giorni? Io ho detto non so. Lui per un attimo non ha detto niente.

Come già sapete, sul coltello piantato nello stomaco di Ezechiele Bernasconi erano presenti tracce delle impronte digitali di due persone: quelle della vittima, nonché proprietario del coltello; e le mie. Io però l’ho scoperto solo in quel momento. Non sono riuscita a dire ah, ma è quello che avrei detto. Perché da testimone chiave, ero tornata ad essere la sospettata numero uno. Di nuovo. Anche questa volta.

Il commissario ha detto forse non dovrei dirtelo, ma è meglio se non entri in Svizzera. Per qualche giorno, il tempo di capirci qualcosa. Il rapporto dell’autopsia è molto strano, ma abbiamo dovuto emanare un mandato d’arresto nei tuoi confronti, per il momento valido solo per il territorio elvetico. Non entrare in Svizzera, a meno che tu non debba assolutamente farlo.

Il commissario ha aspettato un attimo. Poi ha chiesto sei ancora lì? Io ho risposto sì. Lui ha detto ho una seconda cosa da dirti. Da chiederti. Il caffè ha borbottato qualcosa. Io ho detto dimmi. Il commissario ha detto tu lo sapevi che. Giorgio mi ha detto mamma sei un drago. E mi ha tirato la sua spada di legno sulla caviglia. Io ho detto ahi. Il commissario ha detto tutto bene? Giancarlo ha chiesto ma non stavi facendo il caffè? Il caffè ha borbottato sto bruciando di nuovo. Io ho detto sì, tutto bene. È solo mio figlio che sta uccidendo un drago. E il drago sono io. Il commissario ha detto ah. Giancarlo è andato in cucina a prendere il caffè e si è scottato anche lui, versandolo nel lavandino. Per finire il commissario mi ha chiesto tu lo sapevi che Ezechiele Bernasconi, per arrotondare, faceva ‒ per così dire ‒ l’usuraio?


Continua con il quarto episodio.

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