Tempo di lettura: circa 8’00”. /// Non una recensione #4 (quarta e ultima parte). ///
L’ultimo articolo della serie. Questa volta, provo a definire cosa sia, in sintesi, un Reddito di Base Universale e Incondizionato, partendo dalle quattro parole che lo compongono.
Sul Reddito di Base Universale e Incondizionato
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Domenica si vota, fra le altre cose, anche sulla nostra volontà o meno di iscrivere nella Costituzione il concetto di un Reddito di Base Incondizionato. In questa serie di quattro articoli, però, io ho insistito a chiamare quest’idea in modo leggermente diverso.
Vi avevo promesso che ci sarei ritornato nell’ultimo articolo. Ed eccoci qua. Mi sembra veramente giunto il momento di parlare di cosa si propone di fare. Fino a questo momento, infatti, ho puntato i riflettori più che altro sulla necessità e sulle motivazioni di istituire, presto o tardi, un Reddito di Base Universale e Incondizionato. Ho anche affrontato il falso problema di come finanziarne uno. Ma cos’è, esattamente, un RBUI?
La mia definizione di RBUI
Fino a questo momento, in effetti, non ho veramente definito cosa sia un Reddito di Base Universale e Incondizionato, né come funzioni. È stata una scelta deliberata. Un po’ perché, essendo un tema in votazione il 5 giugno, tutti hanno credo un’idea di cosa sia. Ma soprattutto, perché quando si parla di RBUI credo sia più importante ‒ o meglio, più urgente ‒ capire la necessità e le ragioni di istituire un Reddito di Base. E solo in un secondo tempo definire nei dettagli come applicare concretamente quest’idea.
D’altra parte, quello che viene chiamato Reddito di Base non ha una sola e unica declinazione. Se masticate l’inglese, sul sito del Basic Income Earth Network c’è un’interessante “storia del Reddito di Base” che mostra come è nata e come è evoluta l’idea. È interessante notare come essa venga da lontano e come sia e sia stata sostenuta da persone molto diverse a livello di credo politico o filosofico: persone di destra, persone di sinistra, persone più interessate al miglioramento delle condizioni di vita dell’intera società che non di politica.
Insomma, io ho la mia idea di cosa dovrebbe essere un Reddito di Base. Ma è la mia idea. E sono sicuro che evolverà ancora, cambierà, verrà messa in discussione. Ma ad oggi mi sento di definirla così, partendo dalle quattro parole chiave che la compongono.
Reddito
La prima parola è quella su cui c’è meno da dire. Si tratta di un reddito, semplicemente, ovvero di un’entrata economica. Senonché, nella gran parte dei dizionari, il termine “reddito” è legato a un’attività professionale, a un mestiere o comunque è indicato quale frutto di qualcosa, sia esso il lavoro o la sostanza che un individuo possiede.
Nel caso di un RBUI, il reddito è invece inteso come un’entrata economica che un individuo riceve per il semplice fatto di esistere. Si tratta di un punto fondamentale di quest’idea, per quanto possa far storcere il naso. Ed è strettamente legato alla necessità di sciogliere il legame fra lavoro e salario, su cui mi sono già dilungato nel secondo articolo della serie.
Ma per capire perché non dovrebbe farvi storcere il naso, è necessario dare un’occhiata anche alle altre tre parole.
Di Base
La settimana scorsa, alla fine del mio articolo sulla questione del finanziamento del RBUI, dicevo che secondo me 2’500.-/mese di Reddito di Base Universale e Incondizionato è una cifra troppo elevata. Beninteso, non è una cifra su cui voteremo il 5 giugno. È solo un’ipotesi. Un tentativo di suggerire una forma a un testo d’iniziativa che forma non ha.
Sui motivi che mi spingono a dire che sia una cifra troppo elevata, ho già speso qualche parola in quell’articolo. Quello che mi preme sottolineare qui è il fatto che, a differenza di quanto chiede l’iniziativa su cui ci apprestiamo a votare, “di base” non dovrebbe equivalere a “che permette di vivere una vita dignitosa”. Ovvio, quello è lo scopo: permettere a tutti di vivere una vita dignitosa e di partecipare attivamente alla società. Ma “di base” significa esattamente ciò che dice: una base su cui costruire; delle fondamenta, non una casa intera.
Il Reddito di Base Universale e Incondizionato si propone di cambiare due cose: il modo di ridistribuire la ricchezza, per adattare la nostra idea di società alla realtà del XXI secolo; e l’organizzazione del nostro sistema sociale, che come ho spiegato settimana scorsa è allo stesso tempo pazzescamente inefficace e inefficiente. Non deve affrancarci dal lavoro. Deve permettere a tutti di lavorare ‒ o meglio, di contribuire al bene della società, senza escludere nessuno da questa possibilità, ciò che è già il caso di molte persone e di sempre più persone in futuro.
Ma anche per questo, vi rimando agli articoli precedenti. Veniamo ora alla parola che ho aggiunto, rispetto alla denominazione utilizzata dagli iniziativisti: univerale.
Universale
Le critiche al Reddito di Base Universale e Incondizionato, così come il sostegno a quest’idea, vengono sia dalla destra che dalla sinistra dello scacchiere politico. E non dovrebbe sorprendere, dato che lo scacchiere politico è diventato multicolore e multiforme, mentre le pedine che lo popolano sono rimaste un po’ legate ai 64 quadratini bianchi e neri.
Detto questo, una delle maggiori critiche che provengono dalla sinistra è il fatto che il RBUI verrebbe versato a tutti, poveri in canna o milionari poco importa. Quindi molte risorse dello Stato verrebbero sprecate per dare un aiuto a chi manifestamente non ne ha bisogno.
Questa critica parte però da due presupposti sbagliati. Il primo presupposto sbagliato è che il nostro sistema sociale funzioni bene e aiuti proprio chi deve aiutare. Mai abbastanza, secondo la sinistra, ma questo fa parte del gioco politico. Ora, come ho spiegato la settimana scorsa, da un terzo fino a due terzi delle persone che avrebbero diritto a un aiuto sociale da parte dello Stato, in realtà quell’aiuto non lo riceve.
Il fatto che il Reddito di Base sia universale fa sì che tutti lo ricevano, anche chi oggi ha diritto a un aiuto ma non lo riceve.
Il secondo presupposto sbagliato è invece quello secondo cui si darebbero dei soldi a tutti, anche agli straricchi, quando potrebbero essere utilizzati per persone che davvero ne hanno bisogno. Ora, come ho già cercato di spiegare, non si tratta di “dare dei soldi ai cittadini”, ma di rivedere il modo di ridistribuire la ricchezza. Per la maggior parte dei lavoratori, l’unica cosa che davvero cambierebbe sarebbe il fatto che ci si ritrova con lo stesso reddito, il quale proviene però in parte dal datore di lavoro e in parte dallo Stato. Per molti è già oggi così, ma in maniera meno marcata, tramite sussidi di vario tipo.
Per abbreviare il nome del RBUI, spesso si lascia via questo “universale” perché in fondo è molto simile a “incondizionato”. In sostanza, se non ci sono condizioni per riceverlo, tutti lo ricevono, quindi è universale. Ma secondo me è importante che ci siano entrambe queste parole.
Incondizionato
Incondizionato significa in qualche modo universale, per tutti, indistintamente. Ma significa soprattutto, come dice la parola stessa, senza condizioni.
Le ragioni precise per cui chi ha diritto a un aiuto sociale da parte dello Stato in realtà non lo riceve sono molteplici e ancora poco studiate. Ma tre di questi motivi sono: da una parte, il fatto che non si è a conoscenza di un determinato aiuto di cui si ha diritto; d’altra parte, il fatto che ci si vergogna a chiedere certi aiuti, dato che significa non riuscire a essere indipendenti, a farcela da soli; e per finire, il fatto che la serie di strette condizioni alle quali si ha diritto a un determinato aiuto spesso fa desistere chi ne avrebbe diritto.
La questione è piuttosto complessa. Ma vorrei soffermarmi un momento su questo ultimo motivo. Immaginati di trovare lavoro costantemente, ma solo lavori a progetto, contratti a tempo determinato, magari più di un lavoro nello stesso periodo, ma a basse percentuali; immaginati che di questi lavori non ci vivi o ci vivi a malapena. Probabilmente avresti diritto a qualche aiuto. Ma ogni volta che la tua situazione lavorativa cambia, cambiano le condizioni e bisogna rivalutare il tutto, per verificare se tu hai diritto o meno a un aiuto da parte dello Stato. Situazioni del genere sono sempre più frequenti, ma se passi il tempo a riempire formulari non hai il tempo di lavorare. La scelta, concretamente, si riduce a non più lavorare del tutto e percepire un aiuto sociale; oppure, continuare a lavorare in questo modo, pur non percependo l’aiuto a cui avresti diritto.
Il fatto che sia incondizionato contribuirebbe a miniaturizzare quella gigantesca, costosa, pazzescamente inefficace e inefficiente macchina burocratico-amministrativa che oggi decide chi riceve un aiuto a cui ha diritto, chi non riceve un aiuto a cui ha diritto e chi non riceve un aiuto a cui non ha diritto. E non mi sembra poco.
Per concludere
Il mondo del lavoro è cambiato. Non la nostra struttura e organizzazione sociale. Il Reddito di Base Universale e Incondizionato è pensato per adattare la nostra organizzazione sociale alla realtà del XXI secolo. Non è il Paese dei Balocchi, dove nessuno farebbe più nulla. Sarebbe semplicemente un paese in cui ognuno può contribuire a suo modo alla società, senza dover rinunciare alla salute, a una famiglia o alla propria dignità; un paese in cui ognuno potrebbe continuare a perseguire il più grande guadagno possibile, ma un paese dove ognuno potrebbe anche decidere di accontentarsi di guadagnare meno per rendersi invece più utile agli altri.
Il 5 giugno l’iniziativa non passerà. E forse è un bene. Ma l’idea di un Reddito di Base Universale e Incondizionato, come ho scritto più volte, è una di quelle rare idee che migliorano la vita di tutti, nonché un’idea che, presto o tardi nel corso del XXI secolo, bisognerà mettere in pratica, in una sua forma o in un’altra.
Ci ritornerò sopra. Con più calma. Senza votazioni incombenti. È una promessa.
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