Riflessioni alla seconda persona

Scrivere è dare ascolto alla gente che ti chiacchiera nella testa

Tempo di lettura: circa 4’00”. /// Una riflessione alla seconda persona. ///

Spesso è difficile spiegare il proprio processo di scrittura. Da una parte perché per ogni persona è diverso. Ma dall’altra, perché se ciò che succede sulla pagina è chiaro a tutti, ciò che succede nella tua testa mentre scrivi è molto meno trasparente.



Scrivere è dare ascolto alla gente che ti chiacchiera nella testa


Non è la prima volta che ti chiedo cosa succede dentro di te mentre scrivi. E come al solito, non mi hai voluto o saputo dare una risposta. Hai semplicemente ribadito che per ognuno è diverso, lasciandomi intendere che conoscere uno di questi infiniti modi di affrontare la scrittura ‒ e il tuo in particolare ‒ non mi avrebbe comunque dato granché, come informazione.

Ma poi a cena, come dal nulla, ti sei lasciata finalmente sfuggire qualcosa: «in un certo senso, scrivere è dare ascolto alla gente che ti chiacchiera nella testa.» Prima di aggiungere: «credo che scrivere sia l’unico modo sano di relazionarmi con loro.»

Non solo quando scrivi, mi dici, ma sempre, in maniera costante, hai la testa piena di personaggi che ti dicono cose, a volte sensate, altre decisamente meno. Personaggi i quali pretendono di poter fare questo e quello, come se fossi tu a dover decidere per loro. Tocca quindi a te dirgli regolarmente di no. O “vedi tu”. O “non mi sembra proprio il caso”. Fino a quando non ti capita di dovergli dire “Be’, in fondo, perché no?”

È a quel punto che ti metti a scrivere, per capire se davvero c’è un motivo concreto di dire ancora una volta di no. O se invece, nelle parole che ti metti a buttare sulla pagina, si comincia a creare la possibilità di un sì. Ed è proprio quando succede che, un po’ incredula, ti ritrovi davanti a una nuova pagina scritta, che per una volta non è da buttare.


C’è da uscirne pazzi

Il vero lavoro, quello pesante, in fin dei conti resta quello che ti vede china sulla tastiera a cercare risposte a domande che non ti sei posta tu, ma che ha posto la gente nella tua testa. E a guardar bene, molto del tuo tempo di “scrittura” lo passi a discutere in silenzio con quei personaggi che non ti lasciano mai veramente tranquilla. Ma se lo fai in silenzio ‒ o comunque con fare pacato ‒ è perché se ti innervosisci, se cominci ad alzare la voce con loro, il rischio concreto è quello di ritrovarti sedata in qualche ospedale sociopsichiatrico.

Tempo fa, qualcuno ‒ un po’ scherzando un po’ no ‒ mi ha detto questa cosa che non sono mai riuscito a provare falsa. Al mondo c’è un tipo di persona che ha solo tre percorsi possibili, nella propria vita: o diventa artista o diventa pazza o diventa quella che i pazzi li cura. Se riesci a discutere in modo pacato con la gente che hai nella testa, riuscirai anche a far diventare arte i loro discorsi; o altrimenti, riuscirai ad utilizzare la tua abitudine a gestire la loro insistenza, per aiutare chi invece gli sbraita contro non appena aprono bocca.

Ma per avere delle persone nella testa, mi fai giustamente notare, non c’è bisogno di essere o di diventare pazzi o artisti. Basta essere introversi come lo sei tu. E come lo sono io.


Roba da pazzi introversi

Chiaramente non è che per scrivere sia necessario essere introversi. E non è nemmeno detto che aiuti. Ma secondo te c’è comunque una stretta relazione fra la presenza di gente che ti chiacchiera nella testa e l’introversione.

Per capire quello che intendi dire, mi consigli di leggere Quiet di Susan Cain. Io ribatto che l’ho già letto (ne ho parlato qui) e che penso di poter capire cosa intendi: che per molti introversi ‒ come me e te ‒ non è che ci sia un’avversione allo stare con altra gente; semplicemente, la gente all’esterno si somma a quella che tu hai all’interno, e ascoltare tutti per un’intera serata può rivelarsi molto stancante.

Insomma, il fatto che preferiamo di gran lunga le discussioni a due o al massimo a tre è dato dal fatto che, come tutti, esiste un limite al numero di persone a cui possiamo prestare attenzione contemporaneamente. Tutte quelle che abbiamo nella testa più altre 2 o 3 riusciamo a gestirle. Di più, facciamo fatica. E il nostro problema è che quelle che nascondiamo all’interno ‒ oltre ad essere invisibili agli altri ‒ proprio non riusciamo a zittirle.


L’arte di dare ascolto a chi ti chiacchiera nella testa

Forse non c’è altro da fare che imparare a dare ascolto a quelle voci. Il che, come nel caso delle persone in carne ed ossa, non vuol per forza dire dargli sempre ragione, né tantomeno importanza. Vuol dire semplicemente accettare che facciano parte della nostra vita. E che in un modo o nell’altro dobbiamo trovare un equilibrio nel gestire la loro costante richiesta d’attenzione.

D’altronde, spesso sei tu la prima a ringraziarle, mi dici ancora. In particolare quando ti danno un suggerimento che poi decidi di elaborare su una pagina bianca, permettendoti di aggiungere un nuovo tassello al mosaico delle tue/loro storie.

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