Racconti

Conto i minuti…

Tempo di lettura: circa 5’00”. /// Racconto. ///

Un pomeriggio al liceo, non mi ricordo più bene per quale motivo, abbiamo guardato un documentario sulla pena di morte negli Stati Uniti. Nei giorni seguenti, mi sono messo a scrivere un racconto. È rimasto lì per un po’ di tempo, chiuso in un cassetto. Poi ho sentito parlare di un concorso letterario indetto dalla RSI, a tema libero, e l’ho inviato. Non ha vinto, ma è arrivato fra i 16 finalisti, sui 297 in concorso, ed è stato pubblicato nel libro che raccoglieva tutti i racconti premiati e finalisti, pubblicato nel 2003 dalle Edizioni Ulivo di Balerna.


CitazioneMinuti


Conto i minuti…


Sono ormai due ore che conto i minuti. E in fondo è un po’ come contare le pecore. Ho superato le centoventi. E sono tutte maledettamente bianche; neanche un minuto che fosse durato sessantun secondi. Nemmeno un fottuto minuto su centoventi e passa che ho contato.

Dentro ogni minuto cerco una piccola stranezza. Anche una piccolissima mi andrebbe bene. Stando qua ho imparato a non pretendere niente. Non cerco un’intera pecora nera. Mi basta un solo filamento di lana che tenda un po’ verso il grigio; ma non molto. Vorrei riuscire a sorprendermi ancora.

 

È da qualche anno che i miei pensieri sono pieni di se e di congiuntivi tutti al passato; e vuoti anche della più piccola speranza. Stando qua ho imparato a non sperare. I maestri col manganello che me lo hanno insegnato mi dicono di guardare in faccia la realtà. Ma non aiuta. Qui la realtà ti gira sempre le spalle.

Mi sarebbe piaciuto tornare indietro. Girandomi di centottanta gradi a mia volta. Durante le ultime due ore ho perso le tracce anche di questo piccolo piacere. Arrivato a questo punto è forse meglio andare avanti, facendomi trascinare senza più opporre resistenza: non ne vale la pena.

In prigione ho guadagnato e perso la fede. Avevo cominciato a pregare Dio perché mi tirasse fuori, sperando che mi ascoltasse. Una volta persa la speranza ho perso anche la fede. In prigione sono poche le cose che si credono per sempre. Le opinioni cambiano quando hai vitto e alloggio sicuri.

Nulla qua dentro è definitivo. Stando qua ho capito che le uniche cose definitive sono le sentenze. Quelle non si cambiano, mai. Né qua dentro, né là fuori. Si possono forse influenzare con la natura dei propri pensieri, con la quantità di denaro che si ha a disposizione, con la qualità delle proprie conoscenze, con il colore della propria pelle, con la carica che si riveste; ma una volta decisa, la pena resta quella.

 

Mio figlio non lo conosco. So il suo nome, so dove vive, so cosa fa; ogni tanto lo vedo. Ma non lo conosco. E fra pochi minuti potrò dire di non averlo mai conosciuto. Stando qua ho capito che per imparare a conoscere bisogna essere liberi di fare delle esperienze. Ma ho tutti e cinque i sensi legati.

Mia moglie è scoppiata in un pianto terribile alla fine del processo. Poi ha continuato a piangere. Ma ora siamo troppo lontani per poterci trasmettere delle emozioni. Adesso non piange più. Ma non ride nemmeno. Insieme riuscivamo a cavarcela. Da quando l’ho lasciata sola, per lei è stato difficile; e me ne dispiace. Ma non ho avuto e non ho tutt’ora la possibilità di riparare ai miei errori.

 

È da quando sono qua dentro che non faccio sesso. Altri non sanno resistere: lo fanno su di te. Un mio ex compagno di cella si è preso l’AIDS per questo. Io sono fortunato: verrò ucciso da qualcuno e non da uno stupido virus senza faccia.

Stando qua mi sono innamorato della vita. Di quella degli altri prima che della mia. La mia la sto per tradire con la morte. La mia vita di questi ultimi anni mi ha stufato. Una volta era più bella, più eccitante, più viva; e mi coccolava quando ero stanco. Da qualche anno non più. Così ho ceduto al fascino della mia morte.

 

Quando ero ancora fuori molti amici con un lavoro si lamentavano di essere solo dei numeri. Non capivo cosa intendessero. Ora so di essere un numero. Ce l’ho scritto su tutti i miei vestiti. Ma mi dicono di essere un costo. Me lo hanno detto più volte, con accresciuto disprezzo: sono un costo per lo Stato. Mi piacerebbe essere soltanto un numero e non creare problemi a nessuno, considerato che di sicuro qua dentro non posso rendermi utile né a me stesso né alla mia famiglia; né tanto meno allo Stato.

A volte mi fanno fare delle piccole attività manuali. Stando qua mi sono innamorato del lavoro. Mi piace creare qualcosa. Mi piace molto di più che distruggere come facevo un tempo. Ma anche il lavoro mi è negato. In questo la mia vita non è cambiata molto. Il lavoro mi è comunque negato.

 

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Sono venuti a prendermi. È giunto il momento di lasciare questo mondo in cui non ho vissuto. Stando qua ho imparato, capito e amato tante cose che non mi serviranno una volta che la morte mi avrà accolto fra le sue braccia. E non serviranno a nessun altro.

Non mi sento di dare un ultimo saluto a qualcuno che mi è caro; non avrebbe senso, credo. L’ultimo saluto vero l’ho dato quando sono entrato nel carcere. Ora che sto per uscire dovrei salutare chi resterà ancora qua dentro, ma potrebbero pensare che li stia canzonando, perché io finalmente fra poco sarò fuori di qui. Piuttosto mi sento di chiedere ancora una volta perdono e di lasciare scivolare qualche lacrima sulle guance, per far sì che evaporando possa raggiungere il cielo, mentre io starò viaggiando verso l’inferno – mi hanno detto che andrò lì a farmi coccolare dalla mia amata morte – e vorrei che almeno una piccola parte di me possa essere una nuvola e vedere il mondo che non ho mai visto – oltre l’orizzonte, oltre le sbarre – e ricadere di tanto in tanto sulla terra per inumidirla e generare un po’ di vita anch’io.

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