Non una recensione

For your ears, folks! (3/4)

Tempo di lettura: circa 4’00”. /// Non una recensione #5 (terza parte). ///

Questa settimana, con il folk vi porto in Repubblica Ceca a conoscere i Divokej Bill. Sentite qua che roba!



For your ears, folks!


Prima parteSeconda parte ‒ Terza parte ‒ Quarta parte


La musica folk si preoccupa della gente. Dei problemi piccoli e grandi della gente. Del benessere delle persone. Della loro vita, nelle piccole e nelle grandi cose che la rendono quella che è. Ed è soprattutto per questo che mi piace.

Non parla dell’amore, se non come di qualcosa che definisce la situazione che ci troviamo a vivere e ci fa battere il cuore un po’ più forte ‒ o che d’un tratto sembra impedirgli di battere, a volte senza alcun preavviso. Se parla di guerra, non ne parla come di qualcosa di più grande di noi, ma come di qualcosa che può toccare il nostro quotidiano, come del resto tocca il quotidiano di tante persone ogni giorno. Parla spesso di malinconie, perché fanno parte del sentire di tutti noi; accoglie le malinconie, perché sono ciò che ci dà la forza di fare ciò che facciamo.

È una musica ruvida, lontana dalle luci e dai colori sgargianti del pop. Ma è ruvida come lo è la vita. È una musica per far festa in mezzo alle difficoltà, che invita i problemi a danzare con noi, invece di rinchiuderli in un armadio e far finta che non esistano.

E la cosa bella, è che riesce a fare tutto questo anche senza che tu capisca una parola del testo.


Divokej Bill
PER L'AMOR DEI CLICHÉ! Vuoi ospitare un mio concerto a casa tua?
PER L’AMOR DEI CLICHÉ!

Vuoi ospitare un mio concerto a casa tua?

Prendiamo i Divokej Bill, un gruppo ceco in cui mi sono imbattuto un po’ per caso più di 10 anni fa, durante un viaggio in Europa dell’Est in compagnia di un amico. Entrambi appassionati di musica, durante una tappa a Praga non abbiamo resistito alla tentazione e ci siamo infilati in un negozio di musica. Ho ascoltato varie cose, alla ricerca di qualcosa di musica ceca, da portare a casa come ricordo di quel viaggio.

Quello dei Divokej Bill è il primo album che ho ascoltato. Poi ne ho ascoltati molti altri. Ma ogni volta che sentivo qualcosa che mi piaceva, tornavo ad ascoltare i Divokej Bill e mi dicevo che era decisamente il loro, l’album che volevo portare in Svizzera.

L’album s’intitolava Mezi nima, che credo voglia dire “tra di loro”. E la prima canzone, Bagdád, parla dei bombardamenti americani su Baghdad, che stavano accadendo o erano accaduti poco tempo prima. O meglio, come dicevo sopra, parla del fatto che, scegliendo il silenzio, decidendo di non dire nulla riguardo alle bombe che cadevano su Baghdad, in fondo non si fa altro che permettere a quelle bombe di cadere anche sulle nostre teste. Perché il folk non parla della gente di qui o di quella che abita là: parla della gente, parla degli esseri umani, non fa differenze fra le etnie o i luoghi.


Gli tsunami della vita

Da quel loro terzo album, entrato per caso a far parte della mia collezione musicale, ne hanno fatta parecchia, di strada. Perlomeno a giudicare dai video dei loro live, con grandi folle partecipi all’ascolto delle loro canzoni. E se è così, non è certo perché parlano di guerra e di temi politici, bensì perché parlano della gente e alla gente, come dicevo sopra.

Parlano degli tsunami della vita, che a volte ci arrivano addosso, per esempio. E del fatto che, sebbene non possiamo farci nulla per evitarlo ‒ la costante malinconia del folk ‒ possiamo fare molto per superarli insieme. Perché le persone sono così, si fanno forza a vicenda. Nel pop, ognuno è per conto suo: ci sono i vincenti e non c’è traccia dei perdenti, nascosti da qualche parte a leccarsi le ferite. Nel folk siamo tutti perdenti, a volte, quando uno tsunami ci coglie, e siamo tutti vincenti, quando ci aiutiamo a vicenda a superare i momenti di difficoltà

L’anima del folk è questa. Ed è per questo che lo amo. Il folk è uno stato d’animo, quello che ti permette di accogliere le difficoltà per superarle insieme alle persone che ti sono vicine, magari solo per il tempo di un concerto. E quale miglior modo di riprodurre e condividere uno stato d’animo, se non la musica?



Fare festa

In una mia canzone dico: «Cosa ci fai, seduta in disparte? / Vieni a ballare, ché non siamo di parte / Perdenti e vincenti festeggiano uguale / qui siamo aperti ad ogni eventuale». Se volete sentirla, sentitevi liberissimi di invitarmi a tenere un concerto direttamente a casa vostra. Vi farò riflettere, ma sarò lì anche per fare festa.

Perché il folk è anche questo: festa festa! Ma la cosa importante da sottolineare è che non si tratta mai di una festa per pochi. Perché qualsiasi tragedia possa accadere nella vita di qualcuno, non c’è nessun motivo abbastanza valido per non fare festa insieme agli altri. Se si è vivi, c’è comunque da festeggiare di essere vivi, di essere parte della Vita, e della vita di altre persone in particolare. Nessuno escluso.

È quello di cui parla Námořnická. O almeno credo. Se cantiamo senza di te, ci mancherà la tua voce. Quindi nessuna scusa: vieni a cantare con noi!


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