Non una recensione

For your ears, folks! (4/4)

Tempo di lettura: circa 3’00”. /// Non una recensione #5 (quarta e ultima parte). ///

L’ultima tappa di questo mini-viaggio attraverso la musica folk, in cui vi invito a scoprire una stupenda canzone dei Cowboys Fringants, prima di prendermi una pausa con il Non una recensione per i mesi di luglio e agosto.


CowboysFringants


For your ears, folk!


Prima parteSeconda parteTerza parte ‒ Quarta parte


Dei motivi che mi fanno amare il folk ho scritto settimana scorsa. E se ve li siete persi, vi invito ad andare a recuperarli, perché vengono davvero da questo cuore che non può impedirsi di battere allo stesso ritmo della chitarra acustica, ogni volta che ne sente una.

Dopo avervi portato in Scozia, nel Canton Giura e poi in Repubblica Ceca, per quest’ultima tappa vi faccio varcare l’Atlantico. Ma non vi porto negli Stati Uniti né in America Latina, bensì in Québec, alla scoperta dei Cowboys Fringants.


I cowboys cosa?

La loro storia inizia nel settembre del 1994 quando Karl Tremblay e Jean-François Pauzé si ritrovano per caso a dover condividere lo stesso spogliatoio, giocando nella stessa squadra di hockey. «Di natura timida, i due ragazzi non si rivolgeranno la parola prima del gennaio 1995», quando Jean-François mette al corrente Karl di strimpellare la chitarra. Al che Karl risponde affermando di essere un cantante e cerca dei musicisti per formare un gruppo. E sì, due supertimidi ‒ o meglio, due introversi ‒ possono stare su un palco e sentirsi a loro agio!

Oggi però vi voglio parlare in particolare di una loro canzone: Les étoiles filantes. Come in molte altre canzoni folk, c’è parecchia malinconia in questa canzone. È uno sguardo indietro, al passato, a ciò che ci siamo lasciati alle spalle: «et au bout du ch’min dis-moi c’qui va rester», e alla fine del cammino dimmi tu cosa resterà, «de not’ ti passage dans ce monde éffréné», del nostro passaggio in questo mondo frenetico, «après avoir existé pour gagner du temps», dopo essere esistiti per guadagnare tempo, «on se dit que l’bon temps passe finalement», ci si dice che i bei momenti in fondo passano, «comme une étoile filante», come stelle cadenti.


Malinconia e grande energia

Ma come spiegavoo settimana scorsa, nel folk non c’è solo malinconia, anzi. C’è la grande forza di essere tutti parte della stessa cosa, della stessa vita, nel bene e nel male che essa porta. C’è la forza che dà essere parte di una comunità, anche solo per il tempo di un concerto. C’è la forza che dà sapere di avere comunque delle persone che ci vogliono bene, attorno a noi.

Non a caso, nel live che trovate qui sotto l’energia sale sempre più, coinvolgendo tutto il pubblico che non può stare fermo e che non può fare a meno di accendere natel e accendini, per non solo sentirsi parte di qualcosa ma per farne davvero parte.

E poi arriva quel finale, prima della coda aggiunta nel live: «ça fait que si à soir t’as envie de rester», perciò se la sera hai voglia di restare, «avec moi la nuit est douce, on peut marcher», con me la notte è dolce, si può camminare, «et même si on sait ben que tout dure rien qu’un temps», e se anche sappiano che tutto non dura che un attimo, «j’aimerais ça que tu sois pour un moment», mi piacerebbe che tu sia per un momento, «mon étoile filante», la mia stella cadente.

Con quel “j’aimerais ça” tellement québecois, quella breve pausa nel dirlo, come a prendersi il tempo di raccogliere il proprio cuore fra le mani prima di terminare la frase, che dà ancora più forza alla canzone e al suo messaggio.


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