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Licenziamenti alla RSI

Tempo di lettura: circa 4’30”. /// Il mio punto di vista sul mandato del servizio pubblico e la segnalazione di un racconto. ///

In qualunque modo sia andata nella realtà, il licenziamento di alcuni dipendenti della RSI degli scorsi giorni è stato un pasticcio, gestito davvero male. Nella fantasia non so se sia andata meglio o peggio, ma volevo segnalarvi un interessante mini-racconto di Giorgio Genetelli, che prova a immaginarlo.



Licenziamenti alla RSI


 

Il dibattito sul mandato di servizio pubblico e sulla realtà della concorrenza fra media privati e SSR ‒ in particolare rispetto alla presenza di quest’ultima su internet ‒ è decisamente d’attualità, ma il discorso è ampio e complesso. Riguardo alla RSI, in particolare, non so bene cosa pensare. Da una parte trovo fondamentale, in un Paese come la Svizzera, che ci sia una struttura pubblica come la SSR SRG. Per la Svizzera Italiana, poi, se venisse messo in discussione questo tipo di organizzazione nei media nazionali, avremmo solo da perderci. In tutta sincerità, poi, mi sembra che a livello di proposte e produzioni televisive e radiofoniche, in Svizzera si faccia tutto sommato un buon lavoro.

D’altra parte, però, devo anche dire che, nell’unico caso in cui ho avuto a che fare direttamente con l’azienda e con le persone che ci lavorano, per un colloquio, ne sono uscito alquanto perplesso, senza parlare di come mi è stato in seguito comunicato l’esito ‒ negativo ‒ dello stesso. La freddezza, da un’azienda con così tanti dipendenti, te l’aspetti. La malacomunicazione, però, non ha scusanti per nessuno, a maggior ragione da parte di un’azienda che si occupa proprio di comunicazione, in una regione che ospita una Facoltà di scienze della comunicazione che si vanta di essere «l’unica in Svizzera» a offrire una formazione di questo tipo. E se vogliamo dirla tutta, a livello di parole usate male e di malacomunicazione, pensando al sito internet della RSI, mi chiedo se valga la pena spendere tutti questi soldi pubblici per fare una concorrenza non proprio leale alla carta stampata, solo per poi riempire la Rete di refusi (di solito corretti nel giro di qualche ora) e frasi spesso formulate in maniera scorretta o contorta (o entrambe le cose).


Tanto per fare un esempio

Screenshot_RSILa faccenda è stata gestita in modo talmente maldestro che lunedì 1 febbraio, per mettere qualche pezza, si è scomodato pure il direttore generale Roger de Weck, come riporta lo stesso portale RSI.ch (vedi immagine a lato). Ciò che mi interessa, in questo caso, non è però tanto la notizia in sé o come de Weck abbia cercato di spiegare la situazione ai suoi dipendenti. Ciò che mi interessa è mostrare cosa si scrive e si pubblica su RSI.ch.

La frase d’apertura dell’articolo recita così: «Buona parte dei dipendenti della RSI che hanno presenziato all’incontro con il direttore generale della SSR, Roger de Weck, in piedi.» Il predicato verbale è stato giudicato non necessario, evidentemente. E se l’articolo è stato pubblicato alle 15:27 ed è stato successivamente aggiornato alle 16.24 senza venir corretto, la fretta spiega poco e giustifica ancora meno. Oso formulare due ipotesi:

  1. alla RSI il carico di lavoro è talmente pesante da non dare la possibilità di rileggere ciò che si scrive prima di pubblicarlo;
  2. la cultura aziendale della RSI prevede che non si rilegga ciò che si scrive, perché è solo una perdita di tempo che non aumenta in nessun modo la qualità dell’informazione.

Se c’è una regola, nello scrivere, a cui tengo particolarmente, è sicuramente quella di rileggere ciò che si scrive. Sempre. È per questo che frasi formulate in questo modo mi danno così fastidio. E come detto, questo non è un caso isolato. Non mi sono letto ogni articolo pubblicato su RSI.ch negli scorsi giorni, pronto a saltare addosso al primo errore per sventolarlo in faccia a chi l’ha commesso. L’importante e necessario discorso sul mandato di servizio pubblico in ambito televisivo non verte certo attorno a delle frasi formulate male, ma se devo scegliere se sostenere dei quotidiani che curano le parole, e che soffrono la concorrenza del colosso SSR SRG, oppure sostenere una RSI che non si cura di come usa le parole, allora sosterrò mille volte i primi.

Per concludere il discorso, nello stesso articolo, poco più sotto, si legge: «Il direttor de Weck, che si è rivolto ai dipendenti con il direttore RSI Maurizio Canetta, ha assicurato di capire la protesta e il suo significato.» In questo caso, la correttezza della frase è forse più opinabile. Dico solo che dopo “si è rivolto ai dipendenti con”, a rigor di sintassi mi sarei aspettato “con tono fermo ma conciliante” oppure “con comprensione e riguardo”, non certo “con il direttore Maurizio Canetta”, anche se magari “in sua compagnia” o “con Maurizio Canetta al suo fianco”.


Cosa può fare la letteratura

Nell’attesa di farmi un’idea più precisa su questo argomento, direi che il miglior modo di reagire alla notizia di cui sopra è quello di segnalarvi un mini-racconto decisamente azzeccato, che ci ricorda come ‒ oltre ai sindacati e alla RSI ‒ stiamo parlando pur sempre di persone. E se la letteratura ha un compito, credo che questo sia proprio quello di riportare l’attenzione sulle storie personali, mettendo in scena personaggi che non sono forse reali, ma che potrebbero esserlo.

Il mini-racconto si intitola Licenziata e l’ha scritto Giorgio Genetelli, autore tra l’altro del romanzo Il becaària (ANAedizioni, 2010). Seguite il link e buona lettura!


Questo articolo è stato modificato dopo la sua prima pubblicazione, per aggiungere l’esempio di frasi formulate in maniera scorretta sul portale RSI.ch.


 

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