Non una recensione

Sul Reddito di Base Universale e Incondizionato (2/4)

Tempo di lettura: circa 10’00”. /// Non una recensione #4 (seconda parte). ///

La seconda tappa del nostro viaggio alla scoperta del Reddito di Base Universale e Incondizionato, sul cui principio voteremo il 5 giugno. Questa settimana, esploro i perché di quest’idea importante, che stiamo sbagliando a prendere sottogamba.



Sul Reddito di Base Universale e Incondizionato


Prima parte ‒ Seconda parte ‒ Terza parteQuarta parte


Nella prima parte del Non una recensione di questo mese, ho provato a rilanciare il dibattito sul Reddito di Base Universale e Incondizionato. Se non altro per provare a fare giustizia a un’idea di quelle davvero importanti, la quale però, durante questa campagna di votazioni in particolare, è stata quasi esclusivamente bistrattata. E non per demeriti suoi, quanto piuttosto per la scarsa o assoluta non conoscenza di quest’idea complessa da parte di chi ne parla.

Di cosa si tratta e di che cosa comporterebbe l’istituzione di un Reddito di Base Universale e Incondizionato, però, parlerò solo alla fine di questa serie di quattro articoli. Per una mia scelta chiara e ragionata, la quale ha molto a che vedere col fatto che, siccome fino a questo momento di RBUI se ne è parlato in modo assolutamente incompleto e in maniera perlopiù non corrispondente al vero, cercare di correggere il tiro sarebbe fatica sprecata.

Voglio quindi fare un passo indietro e concentrarmi sul perché si tratta di un’idea necessaria e su cui è necessario riflettere seriamente. Se poi sarà il Reddito di Base a risolvere questi problemi o se invece si troverà un’altra idea, migliore, questo solo il futuro lo può dire.


Una società che cambia

Un primo dato di fatto è che il mercato del lavoro è cambiato. Anche in Ticino.

In un recente studio di Francesco Giudici, intitolato L’impatto del lavoro sulla salute: impieghi atipici e insicurezza lavorativa, si afferma per esempio che «la liberalizzazione dei mercati e la crescente competizione internazionale hanno portato a un aumento della flessibilità lavorativa richiesta dai datori di lavoro e all’emergenza dei cosiddetti impieghi atipici.» Insomma, per farla breve, i datori di lavoro e l’economia più in generale chiedono maggiore dinamicità a un mercato del lavoro fino a poco tempo fa abituato a proporre quasi esclusivamente impieghi a tempo pieno, dal lunedì al venerdì, dal mattino al tardo pomeriggio.

Ma se dico questo non è certo per dire qualcosa di nuovo né tantomeno per demonizzare i lavori atipici o chi li offre. In molti casi, si tratta davvero della soluzione migliore sia per il lavoratore che per il datore di lavoro. E abusi a parte ‒ i quali sono evidentemente da sanzionare, e anche pesantemente, secondo me ‒ non si tratta di per sé di un peggioramento delle condizioni di lavoro o di vita, solo di un cambiamento della società e del nostro modo di pordurre e di vivere; un cambiamento ‒ mi sembra importante sottolinearlo ‒ perlopiù verosimilmente irreversibile.

Il problema, semmai, è che il modo in cui la nostra società è organizzata, su più livelli, è ancora strettamente legata al lavoro com’era nel secolo scorso. La realtà cambia, il nostro modello di organizzazione sociale resta lo stesso. Vedete il problema?

Il risultato è che «il lavoro temporaneo è associato a una mancanza di prospettive per il futuro e a una maggiore esposizione a lavori insicuri», continua lo studio. Oltretutto, «i cambiamenti avvenuti nel mercato del lavoro contribuiscono, più che la disoccupazione stessa, al deterioramenteo della salute dei lavoratori generando costi che non sono direttamente assunti dai datori di lavoro ma che vengono esternalizzati verso i lavoratori stessi prima, e verso il sistema di protezione sociale poi (AVS, casse malati e invalidità).

Prima o poi, se non si rimette tutto questo in discussione, qualcosa esploderà. O le crepe saranno talmente tante e fitte da non poter più tenere l’acqua della diga. Il primo merito di quell’idea che chiamamo Reddito di Base Universale e Incondizionato è dunque questo: rimettere in discussione il nostro rapporto, in quanto società, con il lavoro, nonché il rapporto dell’economia con il lavoro umano.


L’aiuto sociale non più al passo

Una seconda cosa da rimettere in discussione è il nostro modo di vedere e di intendere l’aiuto sociale. E questo per vari motivi, per spiegare i quali è davvero difficile essere sintetici.

Come spiegherò più nei dettagli nel prossimo articolo, dedicato al finanziamento del Reddito di Base Universale e Incondizionato, il nostro sistema di aiuto sociale non solo è difficilmente finanziabile a lungo termine. È soprattutto un sistema inefficace e inefficiente: buona parte delle persone che ne avrebbero bisogno e/o diritto in realtà non lo ricevono, mentre la burocrazia che lo fa funzionare è incredibilmente pesante e costosa.

D’altro canto, e tornando al tema del lavoro, quello attuale è anche un sistema che non invoglia i perdenti del mercato del lavoro a rimettersi per forza di cose in gioco. In particolare, dal momento che il mio caso rientra nell’aiuto sociale, ogni franco che guadagno con il poco lavoro che riesco a trovare mi viene tolto dall’aiuto che ricevo, peggiorando invece che migliorando la mia situazione personale. Oppure prendiamo la categoria dei working poor, quella categoria di persone che hanno un lavoro, ma che nonostante tutto sono sotto la soglia di povertà, una categoria di persone che sicuramente esisteva in passato, prima dell’avvento dello Stato sociale, ma che è sparita dai radar per diversi decenni prima di ritornare negli ultimi anni. Se rientro in questa categoria, allo stesso modo di chi non riesce a più a ritrovare un lavoro, il sistema di aiuto sociale attuale mi spinge a non cambiare la situazione, perché mi obbliga a mantenere un lavoro che non mi permette di guadagnarmi da vivere.

Una delle critiche più facili ‒ e inconsistenti ‒ al Reddito di Base Universale e Incondizionato è che farebbe sì che un sacco di gente si sdraierebbe sul divano e non farebbe più nulla. Già settimana scorsa mostravo che non è così, anche se bisogna raccogliere più dati per verificare cosa succederebbe esattamente con l’istituzione di un RBUI. Ma direi che è il sistema attuale, almeno per le persone che hanno più difficoltà a trovare lavoro o a trovare un buon lavoro, che invoglia a starsene sul divano a grattarsi la pancia.

Certo, questo sistema resta pur sempre il migliore che siamo riusciti a trovare o a mettere in piedi fino a questo momento. E ha funzionato egregiamente per decenni. Ma è un sistema da rimettere in discussione, perché sempre meno finanziabile e, anche in questo caso, sempre meno adattato alla realtà sociale ed economica attuale. Il secondo merito dell’idea di un Reddito di Base Universale e Incondizionato è quindi questo: rimettere in discussione il nostro modo di concepire l’aiuto sociale.


Il legame fra lavoro e salario

E qui arriviamo al merito fondamentale del RBUI: scindere il legame fin qui apparentemente indissolubile fra lavoro e salario. Il lavoro è ciò che mi permette di avere un salario. Il salario è ciò che ottengo grazie al lavoro. Ma è davvero così o è solo quello che crediamo?

Quest’idea che il lavoro e il salario sono inscindibili è relativamente recente. Nella civiltà contadina, l’idea di lavoro era molto presente nella vita quotidiana di tutti, bambini compresi. Ma non certo quella di salario.

Lavoro e salario hanno marciato a braccetto per parecchio tempo, è vero. Ma oggi sembra sempre meno il caso. L’esempio più facile, ma anche meno efficace, è quello dei salari stratosferici di alcuni dirigenti, i quali sono aumentati fino a questi livelli solo a partire dagli anni ’80. Ma ugualmente, come giustificare che un’ora di lavoro di Marchionne possa valere 2’500 volte di più di una stessa ora di lavoro, prestata da qualcun altro?

Di solito, una crema per le mani che costa il doppio di un’altra non vale davvero il doppio: paghiamo il brand, paghiamo l’idea che sia davvero migliore dell’altra, paghiamo il fatto che ci unge meno le mani, ottenendo però lo stesso effetto idratante. E siamo disposti a pagarla il doppio. Ma cosa vuol dire che un’ora di lavoro di una persona vale non il doppio, ma 2’500 volte l’ora di lavoro di un’altra persona?

Semplice, dirà qualcuno. Non è la persona che vale il doppio, ma il lavoro che fa. Ciò che rapporta quel lavoro, in termini economici.

Vero sì e no. Da una parte, molti lavori ben pagati causano più danni che benefici alla società (si veda per esempio l’interessante studio A bit rich, della New Economics Foundation, il cui slogan è “L’economia come se le persone e il pianeta avessero importanza”). O, per fare un esempio concreto, apparentemente fino al 60% dei suoi introiti, l’industria inglese dell’alcol li fa grazie a bevitori problematici e patologici. Io amo la birra, soprattutto quelle un po’ particolari. Non vorrei mai che le bevande alcoliche venissero messe al bando. Ma se un’industria funziona, da un punto di vista contabile ed economico, solo grazie ai danni che fa alla società, allora qualcosa deve cambiare.

Anche perché, dall’altra parte dello “spettro economico”, ci sono tanti lavori che sono fondamentali per la società, ma che non sono minimamente remunerati. Le due più grosse categorie sono i genitori che si occupano della casa e dei figli e il volontariato. Ma non sono i soli. Sono tanti i lavori utili, ma che hanno poco valore economico e quindi salari bassi o inesistenti. O che, in alcuni casi, non garantiscono una mole di lavoro o una continuità nel lavoro tali da garantire sufficienti introiti per guadagnarsi da vivere.

«Un altro dato interessante che riguarda il lavoro a tempo parziale», per riprendere ancora lo studio di Francesco Giudici, «è quello dei sottoccupati, definiti come coloro che lavorano a tempo parziale ma vorrebbero lavorare di più e sarebbero disposti ad aumentare il proprio grado di occupazione entro tre mesi. In Ticino i sottoccupati sono aumentati, passando dal 15% (6.006 unità) del 2002 al 27% del 2012 (13.495 unità).» Ora, se questo legame indissolubile fra lavoro e salario venisse meno, questo tempo in più a disposizione potrebbe essere utilizzato proprio per questi lavori dal grande valore sociale, ma dal basso valore economico.

Non sarebbe certo automatico. Come tutti i grandi cambiamenti sociali, ciò che è necessario è un cambiamento di mentalità. Ma l’attuale crisi del volontariato ‒ la difficoltà sempre maggiore a trovare volontari per svolgere le più varie attività ‒ è data almeno in parte da questa nostra idea ossessiva che lavoro e salario sono indissociabili.

Il terzo grande merito dell’idea di un Reddito di Base Universale e Incondizionato è quindi proprio quella di stimolare un cambiamento di mentalità in questo senso, dissociando il lavoro dal salario.


Per migliorare la vita di tutti

Il merito in assoluto più grande del Reddito di Base Universale e Incondizionato è però quello di portare un’idea nuova che possa sensibilmente migliorare la vita di tutti, senza peggiorare la vita di nessuno.

Alcuni l’hanno tacciata di “marxista”, per il fatto che parte di questo principio è quello di dare la stessa somma di base a tutti. Non c’è niente di più falso. E se non bastasse il fatto che molti liberisti la sostengono o l’hanno sostenuta, si può sempre andare un po’ più a fondo della questione, per accorgersi che si tratta di un’idea che si basa sul sistema capitalista, non che ci va contro. Un po’ come i creative commons si basano sul copyright, non lo combattono.

Il più grande merito del RBUI è quello di osservare la realtà, per come è e per come è cambiata, e proporre qualcosa che sia adatto alla società odierna e a quella dell’immediato futuro, non a quella del secolo scorso. È un’idea che permetterebbe a tutti di fare delle scelte ‒ delle scelte che oggi non sono possibili ‒ e che darebbe a tutti la possibilità di rendersi utili, a dipendenza delle proprie capacità e delle proprie aspirazioni. Se la tua aspirazione è diventare ricco, fare più soldi possibili, in una società con un Reddito di Base Universale e Incondizionato questo sarà sempre possibile. Se la tua aspirazione è quella di aiutare gli altri, svolgere un’attività utile, anche questo sarà possibile.

Il Reddito di Base Universale e Incondizionato permette alle persone di fare delle scelte e dà la responsabilità di quelle scelte alle persone. Responsabilità è una delle parole chiave del RBUI. Responsabilità.

Ora, che siate o meno d’accordo con me, riguardo alla necessità, a termine, di instaurare un RBUI, ci sono comunque alcuni ostacoli sulla strada che porta quest’idea ad essere realtà. Il primo, come dicevo all’inizio, è che se ne parli in modo semplicistico e superficiale come si sta facendo in Svizzera, perlomeno nella maggior parte dei casi.

Un altro grosso ostacolo ‒ non l’unico, ma apparentemente un ostacolo insormontabile ‒ è quello del finanziamento. Ne parlerò venerdì prossimo.

 

4 pensieri su “Sul Reddito di Base Universale e Incondizionato (2/4)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*