Punti di vista

Di cosa parliamo quando parliamo di sicurezza

Tempo di lettura: circa 11’00”. /// Punto di vista. ///

Chi voterebbe per avere meno sicurezza, per sentirsi meno sicuro? Nessuno. Ma i due oggetti in votazione il 28 febbraio, quelli che vogliono garantirci «finalmente sicurezza» e «un San Gottardo sicuro per tutta la Svizzera», davvero vogliono darci maggiore sicurezza? O utilizzano il termine “sicurezza” in un modo fuorviante, solo per raccogliere più voti?


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Di cosa parliamo quando parliamo di sicurezza


Riguardo alle votazioni in programma il 28 febbraio, è notizia di qualche giorno fa che l’esito delle stesse non è così scontato come poteva apparire in un primo tempo. Ma ciò che mi interessa fare, in questo articolo, è parlare del modo in cui è stata utilizzata la parola “sicurezza” in questa campagna, in particolare per i due oggetti in votazione che più hanno fatto discutere, perlomeno a sud delle Alpi, ovvero il risanamento della galleria autostradale del San Gottardo e l’iniziativa per l’attuazione dell’espulsione degli stranieri che commettono reati.

Già in altri casi mi ha dato particolarmente fastidio il modo di usare le parole, durante le discussioni che hanno preceduto delle votazioni. Utilizzare le parole nel modo più efficace possibile, al fine di portare il maggior numero di voti a sostenere la propria idea, a costo di limarne o torcerne il significato, fa parte del gioco. E ci mancherebbe. Ma credo che bisognerebbe chiedere, ogni volta che c’è una votazione, una definizione precisa, quasi matematica, delle parole chiave che vengono utilizzate in campagna. Se si pretendesse davvero una tale definizione, credo che si darebbe molto fastidio a molti politici con la coscienza non proprio limpida, riguardo all’utilizzo di certi termini.


Guerra, pace, famiglia

Nel caso specifico delle votazioni del 28 febbraio, mi piacerebbe sentire qualche definizione di “sicurezza”, per capire cosa davvero si intende con questa parola.

Facendo un passo indietro, però, l’esempio che faccio sempre è il seguente. Se chiamo un’iniziativa “per la pace”, chi voterebbe contro? Chi si dichiarerebbe “contro la pace”, votando no a un’iniziativa denominata in questo modo? Senza approfondire il testo dell’iniziativa, probabilmente nessuno. Ma se nel testo di una tale iniziativa, denominata come detto “per la pace”, fosse previsto di bombardare un determinato Paese, perché gli iniziativisti credono ‒ genuinamente e onestamente ‒ che questo sia il miglior modo per ottenere la pace sul lungo termine…? La denominazione dell’iniziativa sarebbe quantomeno fuorviante.

Pensando a una situazione più concreta e con qualche sfumatura di grigio in più, negli ultimi anni è successo più di una volta con la parola “famiglia”. Il 24 novembre 2013, per esempio, abbiamo votato su un’iniziativa denominata “a favore delle famiglie”. Leggendo il testo dell’iniziativa, però, era chiaro che si trattava in realtà di un’iniziativa a favore della visione tradizionale della famiglia: mamma a casa con i bambini, papà al lavoro a guadagnarsi il pane.

Ognuno ha il diritto e in fondo anche il dovere di difendere la propria idea, riguardo a ciò che sarebbe meglio per l’intera società. E di farlo nel modo che ritiene migliore e più efficace. Anche in questo caso, ci mancherebbe. Il fatto è che un’iniziativa denominata “per la famiglie”, in realtà, è sempre a favore di un certo tipo di famiglia. Dipende dalla definizione che diamo a questa parola. Chi si direbbe “contro la famiglia” o “contro le famiglie”? Nessuno. Ma proprio per questo motivo, chiamare una qualsiasi iniziativa “a favore delle famiglie” è fuorviante e credo che non faccia per niente bene al dibattito sulle idee. A meno di pretendere, per l’appunto, una definizione precisa, matematica, delle parole che vengono utilizzate.


Il termine “sicurezza”

Ma torniamo alle votazioni attuali. Con il termine “sicurezza” si può fare un discorso molto simile. Chi si direbbe mai contro la sicurezza? Chi vorrebbe vivere in una società meno sicura? Nessuno. Eppure, il modo di utilizzare questo termine in questa campagna di votazioni è decisamente fuorviante, sia per quanto riguarda l’iniziativa per l’attuazione dell’espulsione degli stranieri che commettono reati sia per quella sul raddoppio della galleria autostradale del San Gottardo.

Cominciamo dalla prima. Lo slogan della campagna UDC, a sostegno della loro iniziativa, è “Creiamo finalmente sicurezza”. Ma cosa intendono esattamente per sicurezza?

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Su treccani.it, la parola “sicurezza” viene definita come: « Il fatto di essere sicuro, come condizione che rende e fa sentire di essere esente da pericoli, o che dà la possibilità di prevenire, eliminare o rendere meno gravi danni, rischi, difficoltà, evenienze spiacevoli, e sim. […]. In partic., con riferimento a società statualmente costituite: s. pubblica, condizione obiettiva di uno stato nel quale siano rispettati e fatti osservare i principî che lo reggono in modo da consentire ai singoli il tranquillo svolgimento delle proprie attività […].

Una prima certezza è che questa iniziativa non si preoccupa della sicurezza dei cittadini stranieri, nel senso che per questi cittadini, dovesse venire accettato il nuovo testo, lo Stato non potrebbe più «consentire ai singoli [cittadini stranieri] il tranquillo svolgimento delle proprie attività», in quanto basterebbe in alcuni casi davvero poco per venire automaticamente espulsi dal Paese in cui magari si è nati e cresciuti, ovvero la Svizzera. Ed è importante sottolineare che le tre più grandi comunità di stranieri in Svizzera sono quella italiana, quella tedesca e quella portoghese (gli europei, in totale, rappresentano più dell’80% degli stranieri che vivono in Svizzera; gli africani sono meno del 5% e i siriani meno dello 0.5%). Un secondo motivo, per cui la sicurezza dei cittadini stranieri in Svizzera verrebbe ridotta e non aumentata, è che lo Stato non potrebbe verosimilmente più garantire una situazione nella quale «siano rispettati e fatti osservare i principî che lo reggono», dato che la separazione dei poteri, in particolare, verrebbe in parte a mancare, in ogni caso per i cittadini stranieri: non sarebbero infatti più i giudici a decidere, ma un automatismo votato dal popolo. O perlomeno, questo è il rischio.

Uno degli argomenti dei favorevoli al testo, però, è che devono temere solo i criminali: se sei un cittadino straniero che rispetta le leggi svizzere, la tua vita non è minimamente influenzata da questo nuovo articolo costituzionale. È un ragionamento decisamente discutibile, in quanto questo testo rappresenta una spada di Damocle, che oscillerebbe sopra la testa di alcune persone ‒ gli stranieri ‒ ma non su quella di altri ‒ chi è in possesso di un passaporto rossocrociato ‒ influenzando pesantemente la vita dei primi. Ma ammettiamo che quest’iniziativa, se venisse accettata, effettivamente non cambierebbe per nulla la vita delle persone che, straniere o meno, ad ogni modo rispetteranno sempre e comunque la legge, e che riusciranno anche in futuro a non ritrovarsi mai invischiate in situazioni delittuose loro malgrado. Davvero questo testo permetterebbe di creare «finalmente sicurezza»?


Un’occhiata alle statistiche

Secondo il professore di criminologia e diritto penale André Kuhn, l’idea che gli stranieri nelle carceri siano sovrarappresentati rispetto a quello che rappresentano nel totale della popolazione non è di per sé falsa, ma è comunque ingannevole. Detto in altri termini, è vero che nelle carceri svizzere gli stranieri sono il 47%, mentre considerando il totale della popolazione rappresentano solo il 21%. Il fatto è che nemmeno la popolazione delle carceri, nel suo insieme, è rappresentativa della popolazione. Per dirne una, se nella popolazione svizzera le donne rappresentano poco più del 50 %, nelle carceri sono solo il 15%. Ma soprattutto, nelle carceri ci sono soprattutto uomini giovani; e se si considerano solo gli uomini giovani, invece che l’insieme della popolazione svizzera, la percentuale di stranieri è molto più alta del 21% anche fuori dalle carceri.

In effetti, il sesso e l’età di una persona sono le prime due «variabili che spiegano il fenomeno criminale», mentre la nazionalità influisce solo minimamente e solo a determinate condizioni. Nell’ordine, queste variabili sono:

  1. Il sesso;
  2. L’età;
  3. Il livello socio-economico;
  4. Il livello di formazione;
  5. La nazionalità (ma solo nel caso di migranti che hanno vissuto la guerra in prima persona).

Se per sicurezza intendiamo l’evitare il più possibile che le persone finiscano in carcere, al fine di migliorare la sicurezza André Kuhn propone quindi di lavorare sul livello socio-economico e sulla formazione, dato che il sesso e l’età non si possono cambiare; e che il fatto di essere straniero influisce solo in misura limitata e solo nel caso in cui una persona abbia vissuto una situazione di guerra sulla propria pelle (e questo non è il caso per tedeschi, italiani e portoghesi, fra gli altri). Ma su un punto non sono d’accordo completamente: se sull’età non si può effettivamente agire, ciò che lui chiama sesso in realtà non è tanto il sesso biologico, quanto il genere. Il fatto che la maggior parte dei detenuti siano uomini è in parte dovuto agli stereotipi riguardo a ciò che dovrebbe essere un “vero uomo” e in parte alle possibilità che effettivamente esistono per uomini e donne, il ruolo che possono assumere nella società. Su entrambe queste cose si può agire. Come spiego anche nei miei concerti sull’identità di genere, possiamo fare molto per cambiare gli stereotipi riguardo a cosa vuol dire essere una donna o a cosa vuol dire essere un uomo, in particolare riguardo a come dovrebbe comportarsi un “vero uomo”, il che è alla base di buona parte della violenza degli uomini sulle donne e degli uomini su altri uomini.

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(Il discorso è molto complesso ed esula da ciò di cui voglio parlare in questo già lungo articolo. Ma se vi interessa approfondire, vi consiglio la lettura di The Macho Paradox di Jackson Katz, riguardo alle conseguenze degli stereotipi di genere nell’ambito della violenza degli uomini sulle donne; oppure di guardare il suo TEDtalk, in inglese ma con sottotitoli disponibili anche in italiano. Altro libro molto interessante, in cui viene spiegata nei dettagli una nuova teoria che può spiegare l’origine morale della violenza, è invece Virtuous Violence di Alan Page Fiske e Tage Shakti Rai. Ho parlato in maniera un po’ più approfondita di entrambi nel secondo articolo della mini-serie Di donne e di uomini, ma soprattutto di donne.)

Riassumendo, prima di espellere gli stranieri che commettono crimini, se davvero si volesse più sicurezza, ci sarebbero almeno tre aspetti su cui si potrebbe lavorare, ottenendo sicuramente migliori risultati. E guarda caso, almeno due di questi (fine degli stereotipi di genere e aiuto alle fasce più deboli della società) sono proprio due delle cose che generalmente l’UDC combatte. Proprio quell’UDC che reclama «finalmente sicurezza». Se questo partito avesse davvero a cuore la sicurezza dei cittadini svizzeri, evidentemente agirebbe altrimenti. Ma immagino che abbia più a cuore la paura, che la sicurezza; e la paura la si crea e la si nutre proprio con minore sicurezza, non con più sicurezza.


La sicurezza sulle strade

Un discorso molto simile, riguardo all’utilizzo del termine “sicurezza”, può essere fatto riguardo alla campagna per il raddoppio del tunnel autostradale del Gottardo.

Sempre da treccani.it, la sicurezza «negli autoveicoli [è] il complesso degli elementi costruttivi atti a prevenire incidenti o a limitarne le conseguenze per gli occupanti del veicolo stesso; s. attiva, relativa alle caratteristiche meccaniche di questo; s. passiva, relativa alla protezione degli occupanti e anche degli altri utenti della strada […].» Nella campagna per il sì, in effetti, ci si riferisce ad ogni modo a qualcosa di leggermente diverso: non tanto la sicurezza dei veicoli stessi, quanto quella relativa all’infrastruttura stradale, in modo particolare della galleria.

Lo slogan principale, quello presente sui manifesti che si vedono per le strade, è: “Un San Gottardo sicuro per tutta la Svizzera”. Ma come ha ammesso uno dei capofila della campagna per il sì, Fabio Regazzi, su LaRegione del 6 febbraio, si tratta più che altro di uno specchietto per le allodole: l’argomento sicurezza è centrale nella comunicazione, ma non nell’argomentazione a favore di un secondo tunnel.

Come per l’altro oggetto in votazione, non è sbagliato dire che un secondo tubo aumenterebbe la sicurezza al Gottardo. Salverebbe qualche vita dentro al tunnel? Statisticamente sì. Contribuirebbe a salvarne sull’asse del Gottardo? Statisticamente è poco probabile, come spiega uno studio dell’UPI, dato che un aumento del traffico del 3% (500 veicoli al giorno) sposterebbe semplicemente morti e feriti altrove. Ma se ne può comunque discutere. Se però l’obbiettivo fosse la sicurezza sulle strade svizzere, a nessuno verrebbe in mente di costruire un secondo tubo come prima soluzione al problema.

È quindi legittimo portare l’argomento della sicurezza ‒ utilizzare il termine “sicurezza” ‒ per convincere i cittadini a costruire questo secondo tubo, anche se non lo si costruisce per quel motivo? Legittimo sì, nel vero senso della parola e cioè «che ha le condizioni richieste dalla legge, e perciò valido, regolare». Come ben dice Fabio Regazzi nell’intervista citata più sopra, «certo, abbiamo un po’ ‘hochgespielt’ [enfatizzato] il tema sicurezza, anche perché è un argomento sentito. Ma credo sia del tutto legittimo farlo.» Legittimo sì, ma decisamente fuorviante.

Ecco, a me dà fastidio questo modo fuorviante di utilizzare le parole, non per dire ciò che si vuole dire, ma per nascondere ciò che non si vuole dire esplicitamente, e cioè ‒ in questo caso ‒ che per delle strade più sicure per tutta la svizzera, parafrasando lo slogan, si potrebbe fare molto di più con molti meno soldi, a patto di investirli in altro modo e altrove.


Di cosa parliamo

Per concludere, se volete sapere di cosa parliamo quando parliamo d’amore, leggete Raymond Carver. Se volete sapere di cosa parliamo quando parliamo di sicurezza, non andate in ogni caso a leggere ciò che scrivono sui manifesti pubblicitari o sui siti internet della campagne di votazione. Fatevi un’idea vostra. E poi decidete. Mi raccomando, soprattutto decidete. Votate. Fate sentire la vostra voce, qualsiasi cosa vi dicano la vostra testa e il vostro cuore.

2 pensieri su “Di cosa parliamo quando parliamo di sicurezza

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