Tempo di lettura: circa 1’30”. /// Un mini-monologo di Colibrì. ///
Un bambino, quando impara a parlare, non impara delle parole. Impara ad imitare dei suoni. E solo in un secondo tempo comincia ad associare quei suoni a dei significati. Ma un suono senza un significato può essere considerato letteratura?
Dottore, sento rumore di letteratura
Le parole, innegabilmente, portano significato. E non sono io a dirlo, è lo slogan della mia casa sul web ‒ questa ‒ che si rivolge in particolare a «chi crede che le parole abbiano ancora qualcosa da dire».
Poi vabbè, è vero, quello slogan l’ho scritto io, è un’idea che mi rappresenta, che rappresenta il mio rapporto con le parole. E d’altra parte, a chi mi ascoltata su Radio Gwendalyn, credo che la cosa sia già abbondantemente chiara: in Colibrì si parla molto più spesso di contenuti che non di forma, anche se quella ovviamente conta, e molto; ma anche Tosti ‘sti testi, l’altro programma che si alterna a Colibrì il lunedì sera, è un programma che parla sì di musica e di canzoni, ma lo fa a partire dai testi delle canzoni che presenta, andando alla ricerca di messaggi, storie, significati.
Eppure è innegabile. Le parole sono prima di tutto dei suoni. Un bambino che impara a parlare non impara delle parole. Impara ad imitare dei suoni, osservando la reazione degli adulti attorno a sé per capire quando fa giusto e quando fa sbagliato. Solo in un secondo tempo associa a quei suoni un significato.
Tutto questo per dire cosa? Be’, che anche la letteratura può essere prima di tutto ‒ o anche esclusivamente ‒ un suono. O meglio, una serie di suoni messi in un ordine preciso, in modo da creare un’opera d’arte sonora. Poesia sonora.
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