Punti di vista

Un paio di cose non molto rilevanti

Tempo di lettura: circa 6’30”. /// Un punto di vista. ///

Cos’hanno in comune E. W. Dijkstra, pionere dell’informatica, e la letteratura svizzera ‒ o meglio, in Svizzera? Scopritelo in questa mia riflessione, scritta in occasione della XII edizione di Chiassoletteraria, tutta incentrata sul tema del bosco.



Un paio di cose non molto rilevanti


Vi propongo un piccolo esercizio: chiudete gli occhi e provate a farvi un’immagine mentale di Edsger Wybe Dijkstra, uno dei pionieri dell’informatica. Il mio consiglio è quello di distogliere immediatamente lo sguardo dall’ingombrante schermo davanti al quale lo avete fatto sedere. E adesso concentratevi sul completo da esploratore che indossa.

Non so se Dijkstra abbia mai indossato quel completo. Eppure sono fermamente convinto che questa sia comunque la maniera migliore di immaginarselo. Un po’ perché lui, in realtà, alla tastiera di un computer ha sempre preferito una penna stilografica Mont Blanc. Ma soprattutto perché non gli è mai veramente importato un granché di ciò che si potesse fare con un computer: da vero pioniere, l’unica cosa che lo interessava era ciò che ancora non si poteva fare.

Secondo Krzysztof Apt, professore del Centro per la Matematica e le Scienze Computazionali dell’università di Amsterdam, Dijkstra aveva poi questa grande qualità: «sapeva formulare le proprie opinioni con una chiarezza tanto sconcertante e con una precisione così chirurgica, che queste si prestavano naturalmente a essere usate come massime, da citare in articoli o capitoli di libro, o come giustificazione per inaugurare un nuovo filone di ricerca1.» Se vi parlo di un oscuro ricercatore olandese, è quindi per via di una di queste sue opinioni cesellata con il bisturi.

Siamo nel 1984. Dijkstra tiene una conferenza a Austin, in Texas, il luogo che lo ha visto portare avanti gran parte della propria carriera. E mentre parla di tutt’altro, se ne esce con questa lapidaria considerazione a proposito di una delle grandi questioni dell’intelligenza artificiale:  «sapere se le macchine possono pensare […] è rilevante quanto sapere se i sottomarini possono nuotare2.» Ovvero, non molto.


Un’altra questione di rilevanza

A dire il vero, a pensarci adesso è anche vero che un sottomarino è piuttosto lontano da ciò che noi intendiamo per “nuotare”. Cosa pensare invece di una salamandra robot, come quella sviluppata al Politecnico Federale di Losanna, che per spostarsi nell’acqua imita effettivamente il movimento di una vera salamandra? Sta nuotando o sta facendo qualcosa di diverso? Ma soprattutto, e indipendentemente da questo, è davvero rilevante saperlo?



L’uomo ha sempre provato a capire, descrivere e imitare la natura. Un po’ per pura sete di conoscenza un po’ per carpirne i segreti, e sfruttarli a proprio vantaggio. La robotica e l’ingegneria genetica non sono che le ultime arrivate. Non è quindi un caso se anche molta letteratura ‒ dalla fantascienza alla narrativa più generalista ‒ si sia interrogata e tutt’ora si interroghi sul nostro rapporto con la natura, in Svizzera come altrove; o forse, in Svizzera più che altrove.

Già, perché se c’è un tema che ritroviamo nella letteratura di tutte e quattro le regioni linguistiche, questo è proprio il nostro rapporto con la natura, in particolare nel contesto della contrapposizione spesso implicita fra due miti: da una parte quello del progresso, dall’altra quello di un’origine rurale e alpestre della nostra nazione, in cui l’uomo viveva in armonia idilliaca con il Creato. Peter Von Matt ha d’altronde trattato questo tema in modo approfondito nel suo libro La Svizzera tra origini e progresso (Armando Dadò Editore, 2016), concentrandosi però nel suo caso quasi esclusivamente sulla letteratura di espressione tedesca, dimostrando in qualche modo quanto sia radicata l’idea di quattro letterature distinte.

E distinte forse lo sono davvero. Ma non si può nemmeno negare che siano tutte radicate in un territorio e legate a una Storia comuni. Non ha quindi comunque un senso parlare di letteratura svizzera? Bisogna davvero parlare di letterature svizzere, al plurale, come suggerisce qualcuno? O forse bisognerebbe addirittura smetterla di cercare legami inesistenti fra quello che si scrive in lingue diverse, rifacendosi a tradizioni letterarie diverse, in contesti culturali diversi?

Sarà che a me le personalità un po’ fuori dagli schemi come quella di Dijkstra piacciono. Ma se c’è un’altra questione che forse è rilevante quanto chiedersi se una macchina possa o meno pensare, questa è chiedersi se esista o meno una letteratura svizzera, e come sia fatta. In fondo ciò che davvero conta è che esista una letteratura in Svizzera. O, detto in altri termini, che esistano delle autrici e degli autori che vivono nel nostro Paese o che con il nostro Paese, la sua società e il suo territorio si confrontano.


Il mondo rurale nella letteratura svizzera

Certo, è inutile cercare un’omogeneità dove non c’è. Per una Johanna Spyri tradotta in tutto il mondo, c’è una Catherine Colomb che ha dovuto scrivere e pubblicare i propri testi quasi di nascosto, per raccontare del suo Lavaux oggi patrimonio mondiale dell’UNESCO. Per un figlio di contadini che parla dell’incombere di una valanga sugli uomini e sulle donne di un’intera valle, c’è un ex-apprendista macellaio che racconta del destino di una singola mucca. La vita alpestre è stata alle volte idealizzata ‒ è il caso del naturalista bernese del Settecento Albrecht Von Haller, ma anche del valmaggese Giuseppe Zoppi ‒ mentre in altri casi è stata restituita con un realismo senza fronzoli, a tratti persino cinico ‒ penso a Blaise Hofmann, che con il suo Estive racconta fra le altre cose di come la lana delle pecore viene ormai bruciata, perché è meno costoso che venderla.

Eppure, trasversalmente e in tutte le epoche, si ritrova più e più volte la necessità dei nostri autori e delle nostre autrici di confrontarsi con la realtà rurale, e non solo per quanto attiene agli aspetti sociali. Anche la lingua, quella quotidiana come quella letteraria, subisce infatti l’influenza del territorio in cui viviamo e dei suoi mestieri. Penso ad esempio a Charles-Ferdinand Ramuz, che a Parigi si è fatto conoscere come colui che aveva dato alla campagna vodese una sua lingua letteraria. Dai semi del suo lavoro sono peraltro nate altre opere, come l’eccellente Cuore di bestia della vallesana Noëlle Revaz. Ma anche il tedesco e il romancio dei romanzi di Arno Camenisch, sempre più apprezzato anche al di fuori dei confini nazionali, prendono molta della loro forza dalle montagne e dai villaggi della Surselva, nonché dalla parlata delle loro genti.

Insomma, se in Svizzera come all’estero si ha una certa immagine del nostro Paese, è anche grazie alla sua letteratura. O, se preferite, alla letteratura che qui da noi viene prodotta, poco importa in quale lingua.


Una questione che continua a interrogare

Le Alpi e i bei paesaggi, i laghi e i fiumi delle nostre montagne diventano allora qualcosa da far conoscere ai turisti di tutto il mondo. Oppure al contrario, qualcosa da proteggere proprio dalla loro incontrollata invasione. Dipende chi ne parla e chi ne scrive. Giacumbert Nau, il protagonista del libro omonimo scritto dal romanciofono Leo Tuor, fa decisamente parte della seconda categoria.

La valmaggese Doris Femminis tenta invece di recuperare quel mondo rurale che invece Giacumbert osserva scomparire: per scrivere il suo romanzo Chiara cantante e altre capraie: Saga di donne fra le montagne e il cielo è infatti partita da una serie di testimonianze, nel tentativo di riportare al presente un ricordo e un passato ormai difficile da vedere.

Chi fa fatica ad accettare di vedere il mondo rurale in cui è cresciuto è invece il protagonista di Parti voir les bêtes della romanda Anne-Sophie Subilia. Mentre chi ci è immersa e si lascia trasportare dalle stagioni è la Pürin di Noëmi Lerch, scrittrice argoviese che vive da qualche anno in Ticino, di cui Gabriele Capelli Editore pubblicherà presto proprio la traduzione di questo suo primo libro.

Quindi ecco, non so se esiste una cosa che si possa chiamare “letteratura svizzera”. So però per certo che esiste della letteratura molto interessante in Svizzera. E in fondo è quello che conta, no? In ogni caso trovo una bella cosa il fatto di essere riusciti, alla scorsa edizione di Chiassoletteraria, la dodicesima, interamente dedicata al tema del bosco, ad invitare il pubblico a tessere legami fra quattro libri di autori svizzeri, scritti ognuno in una lingua diversa, invece che a far giocare quello stesso pubblico a “trova le differenze”.


Una versione diversa di questo articolo è apparso sul giornale del festival internazionale di letteratura Chiassoletteraria, di cui qui si può leggere una copia digitale.

  1. Krzysztof R. Apt, Edsger Wybe Dijkstra (1930-2002): A Portait of a Genius, pubblicato in Formal Aspects of Computing (Volume 14, Issue 2), dicembre 2002.
  2. Edsger Wybe Dijkstra, The threats of computing science, conferenza tenuta in occasione della South Central Regional Conference organizzata dall’Association for Computing Machinery il 16-18 novembre 1984

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