Non una recensione

Visioni distopiche di città italofone (1/4)

Tempo di lettura: circa 5’30”. /// Non una recensione #3 (prima parte). ///

State già pianificando le vacanze per quest’estate? Che ne dite di fare un giro a Venezia, nel 2092? Nel Non una recensione di questo mese, vi porto alla scoperta di quattro città e di otto visioni distopiche della nostra società. Allacciate le cinture!


NovaVenezia_Scurati


Visioni distopiche di città italofone (prima parte)


Nell’ultimo Non una recensione dedicato alle donne, concluso parlando di un racconto di Cory Doctorow, vi ho lasciati con la promessa di tornare a parlare di fantascienza. Detto fatto, questo mese il soggetto sono otto realtà distopiche!

Ne sono più che cosciente: la fantascienza non è un genere sempre accessibile né amato da tutti. Eppure, lo trovo uno dei più interessanti in circolazione. Anche se non è il vostro genere preferito, però, prima di storcere il naso e scuotere la testa, lasciatemi dire che sono io il primo ad essermi arenato ‒ più di una volta ‒ nella lettura di romanzi di questo genere.

Erano belli e ben scritti, sì, ma chiedevano troppo al lettore. Narrazioni troppo piene di invenzioni e trovate e nomi strani da ricordare, per esempio. O storie che si svolgevano in società troppo lontane dalla mia realtà quotidiana, per potermi davvero sentire parte di quel mondo diverso. Si tratta forse di un mio limite, ma la fantascienza che amo è quella che cambia poche cose al mondo in cui viviamo. Una fantascienza che però, allo stesso tempo, dentro a quei cambiamenti ci scava e ci sguazza a fondo.


Fahrenheit 451 di Ray Bradbury

Della fantascienza distopica, in particolare, mi sono innamorato nell’estate del 2002, nel corso di un primo viaggio in solitaria zaino in spalla. Sulla prima pagina del diario di quel viaggio ho scritto: «Con me ho un sacco (abbastanza pesante e ingombrante da avermi creato problemi a salire sul treno), tenda e sacco a pelo […], alcuni libri, una sudatissima macchina fotografica e questo quaderno. Una nutrita solitudine, insomma!»

Fahrenheit451_BradburyUno di quegli “alcuni libri” era Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. E varie pagine più avanti, su quello stesso diario, ho scritto che leggere quel romanzo mi faceva «un’impressione strana. Un po’ perché leggere un libro di fantascienza scritto nel [1953] adesso è molto diverso di come sarebbe stato leggerlo negli anni ’50. Un po’ perché [era] la prima volta che mi [capitava] di voler rileggere un libro ancor prima di finirlo […].» A distanza di 14 anni ne parlerei in modo sicuramente diverso, ma all’epoca è sicuramente stata una delle letture che più hanno marcato e definito i miei gusti letterari, a partire da quell’inizio: «Era una gioia appiccare il fuoco. / Era una gioia speciale vedere le cose divorate, vederle annerite, diverse

In realtà non so se si possa realmente amare la letteratura distopica. Sarebbe un po’ come amare una persona che ti illustra sempre e solo il peggio di ciò che potrebbe capitare. Per quanto sia interessante stare ad ascoltarla e per quanto dica cose giuste e vere, si finisce sempre col cercare un po’ di positività altrove. Diciamo allora che amo la letteratura; e che la sua declinazione distopica la trovo fra le più stimolanti, a livello di idee e riflessioni, sebbene essa non sia sicuramente fra le più piacevoli né confortanti.

La distopia invita infatti a ragionare sul presente e su come potrebbe evolvere. Propone al lettore di guardare la realtà attraverso una lente diversa, che mostra una versione caricaturale di ciò che già esiste, evidenziandone i difetti per meglio riconoscerli anche fuori dai libri. Ti obbliga ad osservare ciò che ti sta attorno da un punto di vista che altrimenti difficilmente avresti preso in considerazione. In sostanza, se è scritta bene, la letteratura distopica apre gli occhi. Senza dimenticare che poi, in mezzo a tante nefandezze e degenerazioni della società contemporanea, una delle protagoniste di questo genere di storie è solitamente la speranza: c’è sempre una fiammella che, invece di bruciare i libri, impedisce alla notte di ricoprire tutto.

Spero siate ora equipaggiati a dovere, magari meno prevenuti rispetto a un genere letterario sicuramente non per tutti. Allacciate le cinture, la prima tappa di questo viaggio è la Serenissima!


La seconda mezzanotte di Antonio Scurati

SSecondaMezzanotte_Scuratiiamo nel 2092. Dopo una terribile alluvione che l’ha completamente sommersa, Venezia è stata ricostruita da una multinazionale cinese, che l’ha trasformata in una sorta di Las Vegas, dove soldi e piacere la fanno da padroni. Il riscaldamento climatico fa sì che le temperature siano africane. Piazza San Marco è ora un’arena di combattimento, dove i gladiatori protagonisti della storia si allenano e si affrontano, per il divertimento di ricchi visitatori. E gli ultimi veneziani rimasti, a cui un chip elettronico impedisce la riproduzione, vivono confinati in un ghetto. Il lumicino di speranza di cui parlavo sopra, allora, non può che essere una coppia di gladiatore ‒ maestro e allievo ‒ che in modi diversi si ribellano, rifiutano lo statu quo, tentano di sabotare quella realtà voluta e amministrata da altri.

Uno dei pregi de La seconda mezzanotte di Antonio Scurati è sicuramente quello di combinare in un unico romanzo due visioni de “il peggio che potrebbe capitare” ‒ o meglio, che sta già capitando. Da una parte, a livello ambientale, la distruzione di un patromonio culturale come Venezia e il clima di sopravvivenza in cui l’umanità è ormai costretta a vivere, soprattutto al di fuori delle mura della città. Dall’altra, a livello sociale, il trionfo di una cultura rozza e superficiale, le cui massime aspirazioni sono il piacere della carne, la ricchezza, il culto della violenza e il trionfo del più forte sui più deboli.

EDITING DI QUALITÀ!Clicca qui se hai un testo da far brillare.
EDITING DI QUALITÀ!
Clicca qui se hai un testo da far brillare.

Se ho apprezzato questo romanzo, però, è anche perché è riuscito a farmi davvero sentire parte di questa Nova Venezia in cui è ambientato. In questo senso, trovo sia molto azzeccata la scelta di proiettare il presente in un futuro che sa molto di passato: i canali e l’architettura di Venezia sono facili da immaginare, così come lo sono i combattimenti fra gladiatori o l’atmosfera carnascialesca, periodo dell’anno in cui si svolge la seconda parte del romanzo di Scurati. Leggendo, ci si può dunque concentrare sugli altri aspetti, sui personaggi, sulle situazioni che devono affrontare, sulla denuncia della deriva culturale che ha causato la nascita stessa di questa Las Vegas europea del futuro.

L’ho trovato un libro potente, che riesce a proiettarci con forza in questa Nova Venezia del 2092. Non è esente da difetti, primo fra tutti i riferimenti a volte fin troppo evidenti alla società e alle vicende politiche italiane recenti. Ma in fondo chi lo sa, a leggerli a 50 anni di distanza, come è capitato a me con Fahrenheit 451, anche questi riferimenti verranno visti in modo del tutto diverso.

La prossima settimana vi porto a Napoli, città natale di Antonio Scurati, con un romanzo che in parte mi ha ricordato questo La seconda mezzanotte; e in parte mi ha fatto tornare in mente 1984 di Geroge Orwell.

3 pensieri su “Visioni distopiche di città italofone (1/4)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

*